Di tutta questa discussione, che ho letto ora molto velocemente, purtroppo rimane la poca solidarietà fra donne. Se continuiamo a distinguere fra "donne che lavorano" e "casalinghe", non se ne esce. Mi spiace con chi ha un impiego o una professione fuori casa e ha le responsabilità ecc. ma ribadisco che fare la casalinga e occuparsi della famiglia "È" un lavoro e la nostra società dovrebbe riconoscerlo, in primo luogo noi donne. Poi dipende da come lo fai, come dipende da come svolgi ogni altro lavoro, con fantasia responsabilità senso di immaginazione.
A me, la "privilegiata di ceto medioalto" che da quando ha tre figli ha potuto scegliere di lavorare in casa e da un po' di anni ha anche la colf che l'aiuta a stirare le camicie, l'INPS fa versare un'assicurazione, perché i rischi da lavoro domestico sono una realtà (per pulire certe finestre mi ci vorrebbero casco e imbrago) e l'operazione alla spalla destra logorata mica sarebbe stata necessaria se non avessi passato tante ore a stirare o a pulire (e non a giocare a tennis).
È stata una mia scelta: a un certo punto, con i tre figli più grandi, avrei potuto cercare un impiego fuori casa ma non l'ho fatto, perché avrei dovuto ritornare a un part-time nello studio di ingegneria o ad altri ripieghi; e così ho rinunciato anche a molte soddisfazioni personali, ad altre relazioni costruttive, a possibilità e a stimoli. Ma non permetto a nessuno di dire che la mia unica responsabilità è decidere che cosa cucinare per cena, e tantomeno lo accetto da una donna, anche perché il lavoro che svolgo a casa è funzionale alle responsabilità che è in grado di assumere mio marito nella sua professione a mente libera, perché non ha avuto da preoccuparsi delle necessità e delle mille incombenze domestiche e dei figlioli.
Finché il lavoro casalingo non sarà riconosciuto per quello che è, e cioè un lavoro, e non un passatempo o anche una scocciatura, non ci sarà la libertà di scelta per le donne: fare la casalinga sarà allora un privilegio, per chi potrà assentarsi dall'impiego per più tempo rispetto a quello concesso dalla legge, oppure un obbligo, perché dopo aver deciso di allargare la famiglia con più di un figlio, la donna troverà mille difficoltà a lavorare fuori casa con le medesime opportunità dell'uomo.
E questo lo dico per mia figlia, perché spero che lei abbia la possibilità di scegliere (e spero che riesca allo stesso modo a lavorare fuori casa e a lavorare per la famiglia che costruirà).
Credo che tutte noi, nel lavoro che svolgiamo, in casa o fuori, abbiamo qualche soddisfazione e nel contempo abbiamo dovuto fare qualche rinuncia. A questo si riferiva, io credo, il post di Sabry, non a sterili polemiche o a recriminazioni fra donne; vi lascio con un immagine scherzosa, che si riferisce proprio a quel primo post. Ecco qui una parte del mio lavoro casalingo: la sala caldaia di casa mia. Altro che Master, qua per far partire tutto ci vuole un dottorato di ricerca! Buona giornata e buon lavoro!
