Autore Topic: Dominanza, questa sconoscuta (anzi, questa grande fraintesa)  (Letto 5428 volte)

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Offline jimpiccanti

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l'altro ieri mi sono imbattuto in questo articolo (lunghetto eh....) quando avete tempo di leggerlo mi dite il vostro parere a riguardo?
Dominanza, questa sconosciuta (anzi, questa grande fraintesa): prima parte
•   23 giugno 2011 12:03
•   Valeria Rossi
•   Etologia - Psicologia, Vita col cane
 
Dominanza, sottomissione, gerarchie…ma quanta bella confusione c’è in giro!
Ci sono, sono fondamentali;  no, non esistono proprio. Esistono, ma solo tra cani. No, anche tra cane e uomo.
Sì, esistono eccome: miocuggino c’aveva il cane dominante, ma a forza di calcinculo devi vedere adesso come l’ha messo sotto!
Miacuggina invece c’ha un cane che è “nato dominante” perché è figlio di un famoso capobranco (giuro, è vera!) e se non lo tiene con il collare a punte, tutti gli altri cani che vede li massacra (detto con una punta di orgoglio ben percepibile). Evvai.
Immonde (ma diffusissime) cavolate a parte, la dominanza si potrebbe spiegare, in senso etologico, in una riga: “capacità di un individuo di imporsi gerarchicamente sugli altri membri del branco“.
Detto questo, però, non abbiamo detto praticamente niente.
Chi si impone su chi? Perché si impone, ma soprattutto COME?
Dominare significare “massacrare tutti gli altri” (che sarebbe pure un po’ imbecille, come idea: perché dopo che hai ammazzato tutti, chi cavolo domini?) o dimostrare solo di essere più intelligente degli altri? O magari solo più furbo?
E’ più dominante Attila, Einstein o Berlusconi?
Ma a monte di tutto questo c’è la Domandona da un milione di euro: visto che dominanza e sottomissione sono espressioni di un ordinamento gerarchico… ‘ste gerarchie, esistono o no?
In parte avevo già cercato di rispondere a questa domanda in un precedente articolo: ora provo ad aggiungere qualcosa, prima ancora di affrontare il tema della vera e propria “dominanza”. Il che significa che scriverò una pappardellazza lunghissima, che infatti ho deciso di dividere in due parti perché altrimenti nessuno arriverebbe in fondo sveglio.
Se però riuscite a sopravvivere fino in fondo, magari qualche informazione utile la ricavate.
Sia chiaro che la pappardellazza NON sarà la Verità Assoluta, che non ho mai preteso di possedere.
E’, però, ciò che ho dedotto da tanti anni di costante osservazione del mio personale branco di cani, e un po’ di valore spero che questo lo abbia.
Toh, vi rifilo anche un pizzico di storia della mia vita: il mio interesse per l’etologia canina è nato dai libri di Eberhard Trumler, etologo, contemporaneo ed amico di Konrad Lorenz, che però aveva effettuato i suoi studi sui dingo, ovvero non proprio su cani domestici.
La mia ambizione sarebbe stata quella di ripetere le sue osservazioni (ed altre derivanti da studi più recenti, perché i libri di Trumler sono dei primi anni ’70, o almeno lo sono le traduzioni italiane) su cani non soltanto domestici, ma anche selezionati: ovvero i miei pastori tedeschi (prima) e siberian husky (dopo).
Raccolsi così, in una decina d’anni, una vera miriade di appunti, fotografie, film (in super 8!), dattiloscritti (il pc non ce l’avevo ancora), grafici, diagrammi, schemi che avrei poi dovuto riversare nel mio Libro (nella mia mente era assolutamente maiuscolo e grassetto)  sull’etologia canina studiata su veri “cani” e non sui dingo.
Peccato che, poco prima di iniziare a scriverlo, io mi sia separata dal marito e abbia  cambiato casa: perché la ditta di  traslochi portò nella nuova casa tutti i mobili, ma decise di consegnarmi il giorno dopo tutti gli scatoloni, che caricò su un furgone che venne parcheggiato in un garage sotterraneo.
Bene: giusto quella notte venne quell’alluvione bestiale che forse ricorderete, perché si portò via mezzo Piemonte: ma anche in Liguria non scherzò.
Una catastrofe: garage sommerso, furgone ricoperto completamente di acqua e fango…e TUTTO il suo contenuto da buttar via.
Tutte le mie foto, i film, i millemila quaderni di appunti. Tutto di tutto.
Ci ho rimesso anche dei quadri di valore e dei libri antichi, ereditati da mio padre: ma la vera tragedia, per me, è stato il materiale per il Libro che ormai non avrebbe mai più visto la luce (questo è anche il motivo per cui, ad eccezione di sporadici esempi – ovvero di foto che avevo già usato per altri libri e che quindi oggi posso scansionare da lì – non sono in grado di illustrare questi articoli con immagini dei miei cani, ma devo ravanare in rete “rubando” quelle mi sembrano più indicative).
Per fortuna le cose che ho osservato, anche se non ne esiste più alcuna registrazione metodica, sono rimaste almeno nella mia testa: scientificamente non valgono una cippa, ma spero valgano almeno come “esperienza vissuta”.
Ed è a questa che mi riferisco, quando dico che…
a) i cani sono indubbiamente gerarchici.
E non soltanto lo sono: non pensano praticamente ad altro!
Le gerarchie entrano in ballo quando mangiano, quando giocano, quando si accoppiano: non posso giurare che sognino di salire gerarchicamente di grado anche quando dormono, ma non lo escluderei.
Il fatto che ultimamente si sia sparsa la voce che invece le gerarchie non siano importanti, teoria basata su un campione di cani disadattati, ex-domestici  rinselvatichiti (cani ferali) e/o studiati in laboratorio, non sposta davvero di una virgola le convinzioni che mi sono fatta osservando i miei husky in condizioni il più possibile naturali (ovviamente nei limiti di quanto può avvenire in un allevamento).
Cani di tipo primitivo, ma cani domestici, lasciati liberi di vivere in branco per gran parte della giornata in prati recintati, sì, ma molto ampi; cuccioli cresciuti in famiglie complete (e cioè composte da padre e madre, e non soltanto dalla madre come spesso avviene in allevamento); cani liberi di costruire i propri rapporti sociali come caspita pareva a loro, fermo restando che se decidevano di costruirli ammazzandosi a vicenda, io intervenivo (Trumler  invece li lasciava scannare:  ma io ho dei limiti -  leggi  sindrome della mamma apprensiva – che non riuscirò MAI a superare, campassi duecento anni).
Però devo dire che la sindrome della mamma apprensiva sono riuscita a tenerla sotto controllo, soprattutto perché di scanni  veramente feroci ne sono successi due in dieci anni (e non so neppure se i cani si sarebbero “davvero” ammazzati: ma siccome non ci tenevo  a scoprirlo, mi sono intromessa prima).
Invece le risse “normali”, anche fra maschi, le ho lasciate sempre evolvere senza metterci becco: e non è mai successo nulla, come dimostra il fatto che i miei erano anche cani da show e che ho continuato a presentarli ogni domenica sui ring, cosa che non avrei potuto fare se avessero avuto orecchie penzolanti o ferite sanguinolente.
In realtà le risse (che scoppiavano sempre e solo per motivi gerarchici) erano TUTTA SCENA, esattamente come accade tra i lupi: lotte ritualizzate con tantissima scenografia e a volte spargimenti di pelo, ma praticamente mai di sangue.
Ma anche di queste risse, in realtà, ne scoppiava una ogni morte di papa: mentre le “sfide” gerarchiche, se non erano proprio all’ordine del giorno, erano almeno “all’ordine della settimana”.
Però bisognava starci molto attenti, per coglierle.
Per esempio bisognava notare che il cucciolone X, che fino al giorno prima aveva voltato la testa e abbassato sguardo, orecchie e coda quando veniva avvicinato dall’adulto Y, un bel giorno non distoglieva più lo sguardo e teneva code e orecchie dritte.
Cosa vedrebbe una persona “normale”, in questo incontro?
Niente.
Cosa vedeva, invece, l’osservatrice coatta?
Vedeva il cucciolone X che provava a far sapere all’adulto che ormai si sentiva abbastanza “grande” da non voler più essere considerato un subalterno.
L’adulto Y, a quel punto, poteva accettare con la massima tranquillità  la comunicazione “sono cresciuto, non sono più un bambinetto che si sottomette appena ti vede”; oppure poteva rispondere irrigidendosi, fissando il cucciolone dritto negli occhi e magari sollevando il labbro superiore.
Traduzione approssimativa, ma non lontana dal vero: “Ehi, bimbo, chi ti credi di essere? Ne devi ancora mangiare di pagnotte, prima di considerarti mio pari! Sottomettiti subito!”
I cuccioloni, di fronte a questa risposta, quasi immancabilmente si rimangiavano tutto e partivano con una compilation di calming signals che alla fine, se l’altro non li accettava, si trasformavano in un’ingloriosa spanciata a zampe all’aria o in altri segnali di accettazione della dominanza, come i colpetti di muso in bocca (traduzione: “Ok, come non detto, io ci ho provato, ma il capo sei ancora tu”).
Quando crescevano ancora un po’, era probabile che invece insistessero: volevano proprio salire di grado.
Allora, a volte (sempre se l’altro non accettava la scalata gerarchica),  iniziava tutta una pantomima a base di ringhi, azzannate all’aria, zampe dure tipo trampoli e “danze” di vario tipo.
E a fine sceneggiata, i ruoli potevano essere cambiati, oppure no.
Una cosa interessante era questa: se il cucciolone non mollava, l’altro non è che gli si sottomettesse: a volte si limitava ad andarsene per i fattacci suoi.
Però il cucciolone, da quel momento, si sentiva “più alto in grado” dei suoi fratelli e/o “amici”, per esempio, che di solito accettavano di buon grado il cambiamento come se l’adulto avesse, in qualche modo, sancito il passaggio del cucciolone a un rango superiore.
In questi casi io dicevo che l’adulto  “l’aveva promosso tenente”.
Questo passaggio di grado “per conto terzi” non l’ho mai visto descritto in nessuno studio sui lupi: però tra i miei cani succedeva.
Così come succedeva spessissimo che un cane salisse di grado per aver mostrato coraggio o astuzia, senza bisogno di confrontarsi con nessuno: erano gli altri ad “omaggiarlo” con onori che fino al giorno prima non gli avrebbero mai tributato.
In un caso particolarmente comico è successo che una cagnina, giovane e fino ad allora assai poco considerata gerarchicamente, affrontasse e mettesse in fuga un  terribile predatore: il gatto del vicino.
Non so se gli altri cani lo vedessero come una specie di Hulk con la coda (in effetti qualcosa di hulkesco aveva: più che un gatto, era un piccolo puma), ma dopo la performance di Stormy perfino sua madre (che l’aveva sempre schiacciata a tappetino) le consentì cose inaudite, tipo venirmi a fare le feste prima di lei senza prendersi, per questo, una plateale strapazzata.
Quando un inferiore gerarchico sfidava un suo superiore, se questi  non accettava di “promuoverlo”, poteva scoppiare una lite, come dicevo sopra, molto ritualizzata: col che, attenzione,  NON sto dicendo che sia normale lasciare che due cani si azzuffino per strada, pensando che “tanto non succederà niente”.
Non è la stessa cosa.
I cani che si incontrano per strada NON appartengono allo stesso branco, non hanno legami di “amicizia” nè di parentela (che in un branco contano parecchio) e sono quasi sempre trattenuti da due guinzagli, quindi non possono scappare.
Dulcis, anzi amaris in fundo, non sono quasi mai della stessa taglia: quindi NON ci sono i presupposti per “lasciarli sbattere”, mentre a casa mia c’erano.
E cosa succedeva, in caso di lite?
Che dopo qualche istante di baruffa uno dei due si arrendeva (i cuccioli “spanciano” clamorosamente – sottomissione passiva – mentre gli adulti spesso si limitano ad abbandonare il campo a coda bassa, ma con l’aria da “firulì firulà …io? Litigato? Buscate? Ma noooo…è stato solo uno scambio di opinioni!”).
Però, da quel giorno in poi,  il perdente stava sempre un passo dietro al vincitore, gli lasciava prendere l’osso o la pallina, filava via come un treno se l’altro lo guardava di brutto, si infilava addirittura nel box se l’altro glielo diceva.
Insomma, si erano modificate le gerarchie: ma sempre senza spargimenti di sangue (al massimo di pelo).
Nota: sapere chi è il capo del tuo branco è utilissimo perché, ammesso e non concesso che tu sia il “suo” capo, puoi dargli l’ordine “metti dentro i cani”, e lui te li spara tutti nei box come un cane da pastore spara le pecore nel pen.
b) il cane si rapporta in modo gerarchico anche con gli umani.
E lo fa perché, da cucciolo, è stato sottoposto al cosiddetto “imprinting”, che ha appunto lo scopo di fargli credere che anche noi siamo cani.
Ora l’imprinting viene chiamato in mille altri modi (periodo sensibile, periodo dell’impronta, prima fase di apprendimento), nessuno dei quali rende – a mio avviso – l’idea.
Per capire esattamente di cosa si tratti bisogna rifarsi agli esperimenti di Konrad Lorenz con le sue oche.
Per i pochi che non ne avessero sentito parlare, riassumo brevemente: l’oca, animale ad orientamento visivo, pensa che la prima cosa che vede uscendo dall’uovo sia sua madre. Ovviamente, in natura è esattamente questo che accade: il primo (e solitamente unico) essere vivente che si aggira intorno alle uova è proprio mamma oca. Quindi i pulcini fissano “l’impronta” di questo animale nella loro mente: seguiranno la mamma ovunque li conduca, e  per tutta la vita sapranno di essere oche.
Lorenz “fregò” la natura facendosi vedere per primo dalle ochette, appena uscivano dall’uovo: e loro cominciarono subito a seguirlo ovunque, convintissime che lui fosse mamma oca (o forse convinti di essere dei pulcini di umano).
Notare che, se le ochette per prima cosa vedono un cane, decidono che la “mamma” è il cane. E seguono lui.
E’ solo una questione di “impronta”, appunto: non influisce affatto il comportamento dell’animale o dell’uomo che vedono uscendo dall’uovo.
L’imprinting, in misura maggiore o minore, esiste in quasi tutte le specie: anche nel cane.
Il cane, però, non è un animale ad orientamento visivo, ma olfattivo.
Quindi lui non si convince di appartenere alla stessa specie della prima cosa che VEDE, ma della prima cosa di cui sente l’ODORE.
Anche nel suo caso, in natura, si tratta della mamma: ma l’imprinting  non avviene al momento della nascita, perché i sensi del cucciolo alla nascita non funzionano ancora. L’unica cosa che lui percepisce è il calore, che lo spinge ad andare verso il corpo materno e a trovare le mammelle.
Il naso del cucciolo comincia ad “aprirsi” dopo qualche ora, ma entra veramente in funzione verso i sei-sette giorni, mentre gli occhi e il meato uditivo esterno si aprono a 13-15 giorni: ma in realtà i piccoli non sentono e non vedono ancora granché, perché le loro sinapsi non sono ancora veramente attive.
O meglio: i cuccioli sono in grado di vedere, sentire e annusare: quindi “immagazzinano” una serie di stimoli. Però non sanno ancora interpretarli; potremmo dire che non sanno ancora “ragionarci sopra”.
Tutto quello che avviene (e in realtà avviene moltissimo) è automatico.
Il cucciolo cambia, si evolve, comincia a recepire una marea di stimoli diversi e immagazzina tutto (in realtà aveva già cominciato addirittura nella pancia della mamma!): ma è solo intorno ai trenta giorni che comincia veramente ad “elaborare” le informazioni che ha accumulato.
Quindi il vero e proprio “imprinting” inizia adesso: ed è in questo momento che noi umani dobbiamo farci vedere, sentire e soprattutto annusare dai cuccioli.
In natura, in questo periodo, i cuccioli vivono ancora nella tana, soltanto con la mamma: quindi si imprintano su di lei.
Se però introduciamo altri elementi in questo microscosmo, e loro hanno modo di “elaborare” la loro presenza, considereranno “familiari” anche questi elementi.
Non penseranno proprio che noi umani siamo le loro “mamme”: ma penseranno che siamo cani. Che apparteniamo al loro mondo e alla loro stessa specie.
Attenzione, però:  i cani non sono oche.
Hanno un cervello molto più complesso e una capacità di discernimento assai più elevata.
In più, avendo un olfatto straordinariamente selettivo ed essendo questo il senso a cui maggiormente si affidano, fanno un sacco di distinguo.
Per esempio, se a pacioccarli e toccarli e farsi annusare è sempre stata solo una donna, potrebbero convincersi che le donne siano “cani”,  ma gli uomini (che hanno un odore diverso) no.
Oppure che siano “cani” solo le persone vestite in un certo modo (perché anche gli occhi li usano!), ma quelle “vestite strane”, specie se sono accompagnate da strani odori, no (questo è il motivo per cui molti cani non hanno simpatia per sacerdoti, suore o persone in divisa).
Ovviamente non sarebbe possibile imprintare ogni cucciolata su ogni possibile tipo di essere umano: però, in una famiglia media, ci sono quasi sempre un maschio, una femmina e dei bambini. E già questo allarga abbastanza l’impronta del cucciolo.
Tutto il resto lo si ottiene con la socializzazione, che è una fase successiva all’imprinting durante la quale il cucciolo deve vedere, sentire e annusare il maggior numero possibile di persone, animali, cose.
Non li considererà più “tutti cani”, perché il periodo dell’identificazione dei conspecifici è ormai finito: però sarà in grado di distinguere tra persone e cose “normali”, da considerare innocui, familiari e quindi da non temere, e stimoli diversi, potenzialmente pericolosi o comunque di cui diffidare.
Ma torniamo all’imprinting, che fondamentalmente – abbiamo detto – convince  il cane che apparteniamo alla stessa specie.
Proprio del  tutto?
No: perché, a differenza dell’oca, che è ad orientamento visivo ma non può vedere se stessa, il cane, animale ad orientamento olfattivo, può annusare se stesso, gli altri cani e noi umani.
E siccome ragiona, si accorge che l’odore non è esattamente  lo stesso (insomma, dipende: se si tratta di un allevatore, deve picchiarci vicino. A me non è mai successo, ma un collega allevatore di pastori tedeschi – che hanno un odorino particolarmente intenso -  ha raccontato in un libro di essere stato più volte oggetto delle attenzioni di cani antidroga all’aeroporto… non perché andasse in giro con strane sostanze, ma perché lo scambiavano per un cane).
Concludendo:  è vero che i cani, anche se imprintati sull’uomo, non ci considerano esattamente “mamme” (alla faccia di chi li considera “i suoi bambini pelosi”, sottoscritta ampiamente compresa): ma ci considerano comunque parte integrante della loro famiglia, intesa come specie. Diciamo che ci considerano  “zii”, o  “nonni”: non proprio mamme, ma comunque parenti molto stretti.
E con questi parenti, il cane interagisce in modo sociale e quindi gerarchico?
Assolutamente SI!
Basti guardare un cane quando vede arrivare un estraneo di cui non conosce le intenzioni, e lo stesso cane quando vede arrivare, per esempio, un animale sconosciuto (per esempio un cavallo).
Cosa fa, di fronte al cavallo?
Essendo stata per molti anni sia cane- che cavallo-munita, posso dirvi con la massima certezza che può fare solo una di queste tre cose: a) osservarlo con distacco misto a perplessità, cercando di capire cosa cavolo sia; b) partire all’attacco pensando che lì ci sia tanta bella ciccia da mangiare (e beccandosi spesso un calcione, il che lo convince che quella ciccia lì NON è buona da mangiare); c) scappare a zampe levate (dipende molto anche da come la prende il cavallo).
Si comporta, insomma, come fa qualsiasi canide di fronte a un animale di specie diversa: lo studia per decidere se si tratta di preda o di predatore.
Poi tra cani e cavalli nascono spesso amicizie meravigliose e perfino commoventi: ma POI.
L’approccio iniziale è quello di predatore-preda o quello di predatore-predatore più grosso di lui.
Insomma, è palesemente un approccio tra specie diverse.
Ma se arriva un umano, che fa il nostro cane?
COMUNICA!
Può sfidarlo, può invitarlo al gioco, può mandargli segnali di calma: dipende. Ma è un dato di fatto che si comporta esattamente come  quando incontra un altro cane!
Il fatto che le sfide (o addirittura gli attacchi) siano molto rari è dovuto all’educazione umana,  perché il suo proprietario tenderà ad inibire in lui, fin da cucciolo, qualsiasi manifestazione aggressiva verso gli altri umani.
Questo però non accade quando il cane non viene socializzato e/o inibito: e infatti il classico cane “da guardia” tenuto sempre recluso (anche solo nel proprio giardino), quando riesce a scappar via spesso finisce per aggredire qualche umano.
Difficile sapere, in questi casi, cos’è accaduto in realtà, perché le vittime non riescono quasi mai a spiegare in modo coerente l’accaduto (e non parliamo di come lo raccontano i giornali!).
Quasi sempre si sente parlare di cane che ha morso “senza alcun motivo”, il che non è praticamente mai vero. Se un cane morde, un motivo LUI ce l’ha sempre. Bisognerebbe riuscire a capire qual è, e non sempre gli umani ci riescono.
Io nutro comunque  il serio dubbio che in molti di questi casi il cane abbia lanciato semplicemente una sfida di tipo gerarchico, che l’umano non ha saputo capire e a cui ha risposto con i segnali sbagliati: quindi è scoppiata la rissa.
E in una rissa cane-umano, di solito l’umano perde alla grande.
Chiusa la parentesi delle aggressioni, che si basa su intuizioni e non su certezze, è invece certo, certissimo che il cane comunica con gli umani, estranei compresi. Che poi questi non capiscano una “parola” di quello che il cane vuole dirgli, è un altro discorso: ma il cane gli parla, cosa che non fa MAI con animali che non siano suoi conspecifici.
Neppure quando sono suoi amici, neppure quando fanno parte del suo branco-famiglia e lui interagisce continuamente con loro.
Io ho sempre avuto contemporaneamente cani e gatti e non ho mai visto tra di essi una comunicazione simile a quella cane-cane, o  a quella cane-uomo.
Dopo un certo periodo di convivenza, cani e gatti in qualche modo comunicano: ma è un linguaggio diverso, che sembra “studiato apposta per l’occasione”.
Il mio gatto Ciro e il mio staffy Bolo si amavano alla follia, dormivano insieme e giocavano anche nsieme: ma se Bolo voleva giocare con lui non l’ho MAI visto fare il classico “inchino” di invito.
Di solito partiva e gli dava una capocciata clamorosa, capottando il gatto: dopodiché si divertivano a rotolare insieme facendo la lotta. Ma l’impressione era che Bolo avesse intuito, “scapocciandolo” una volta per caso, che quel gesto comportava l’inizio della lotta: quindi lo ripeteva quando aveva voglia di giocare.
Se però voleva giocare con me, allora mi invitava con l’inchino, come faceva con gli altri cani.
Non so voi, ma io ne ho tratto la conclusione che il cane sia assolutamente convinto di avere a che fare, in famiglia, con altri cani a due zampe: e se ci considera cani, è assolutamente scontato che tra noi e lui si instauri un rapporto gerarchico.
Perché tra cani è così che funziona. Sempre.
Fine prima parte.
Nel primo articolo di questa mini-serie ho spiegato i motivi per cui ritengo:
a) che le gerarchie nei cani esistano;
b) che si applichino anche tra cane e uomo.
Ora possiamo parlare di dominanza e del suo opposto, ovvero la sottomissione… che però NON vanno più intese esattamente come le intendiamo quando parliamo del rapporto tra cane e cane. Che non sia proprio la stessa cosa, è verissimo.
Ci sono molte analogie ma ci sono anche moltissime differenze, perché il cane può pensare che siamo conspecifici… ma NOI sappiamo di non esserlo!
E cosa comporta, il non-esserlo?
Parecchie cose.
Tanto per cominciare, nell’articolo precedente ho parlato di “sfide” gerarchiche che avvengono continuamente all’interno di un branco.
Ma attenzione: non è che tutti i cani vogliano diventare “capobranco” (figura, peraltro, assai mitizzata)!
Vogliono solo contare un po’ di più del fratello, o dello zio.
Se da cuccioli sono partiti dalla posizione Z (detta anche “ultima ruota del carro”), man mano che crescono cercano di raggiungere la V, poi la U, poi via via sempre più su – vincendo una sfida dopo l’altra – ma solo fino alla L o alla M, o giù di lì.
Poi si fermano.
A loro interessa un grado compatibile con la propria sicurezza in se stessi, con le proprie capacità e abilità: ma NON GLI INTERESSA QUASI MAI diventare “capi di tutto il cucuzzaro”!
Il “capo” è quel povero sciagurato che deve pensare a tutto, che ha un sacco di responsabilità, che si prende tutte le rogne.
Ma chi glielo fa fare?
Purtroppo la nostra abitudine ad antropomorfizzare ci porta a pensare “ma poverinoooo!” del cane sottomesso, quando magari  lui sta benissimo nel suo ruolo.
E’ un errore tanto comune quanto grave, perché indica una scarsa conoscenza della psiche canina, che le responsabilità, quando può, tende ad evitarle e non a cercarsele.
Quand’è che se le va a cercare, tentando davvero di diventare “capobranco”, inteso come guida di un gruppo?
Solo quando il capo precedente è morto, o è malato, è diventato troppo vecchio per tirare ancora avanti la baracca.
A quel punto sostituirlo diventa imprescindibile, perché un branco senza guida è un branco che finisce nei guai: ma non crediate che si facciano avanti in molti.
Spesso il ruolo passa automaticamente ad un altro cane adulto ed esperto, senza conflitti e senza sfide di sorta.
b) ho detto, nella prima parte, che le sfide “serie”  per salire la scala gerarchica sono quasi sempre soltanto “scenografiche”.
Ma allora che dire della foto in alto, dove sembra che il branco sia massacrando una povera vittima?
Dobbiamo dire che, appunto, SEMBRA. E basta. Perché in realtà questi cani stanno giocando.
I cani che vivono con gli umani, per la maggior parte del loro tempo, o si riposano o giocano (in natura caccerebbero anche, ma i cani umano-muniti sanno che arriva la ciotola e quindi non ne hanno bisogno): e quando giocano mettono in atto, sì,  tutti i meccanismi della lotta, ma in modo incruento e assolutamente “scherzoso”.
Nella foto, la cagna che apparentemente sta sgozzando il povero Kiahwah è sua sorella Northbelle, che gli è sempre stata sottomessa e non si è mai sognata di sfidarlo. Solo che, nel gioco, le situazioni si capovolgono: la mamma spancia in sottomissione passiva di fronte ai suoi cuccioli, il vecchio saggio si lascia mettere i piedi in testa dal cucciolone e così via.
La lotta per gioco è contemporaneamente una scuola ed una valvola di sfogo antistress.
Però il gioco si conclude SEMPRE, immancabilmente, con il classico “ristabiliamo le gerarchie”: prima di tornare a farsi ognuno gli affari propri, i sottoposti rendono omaggio ai “capi” con rapidi, ma chiari gesti di sottomissione attiva (musatina, leccatina, coda e orecchie abbassate, postura alla “mi faccio piccolo piccolo di fronte a te” e così via).
Una cosa, ahimé, è certa: se un umano provasse a partecipare ad un gioco simile a quello della foto in alto, ne uscirebbe decisamente malconcio.
Nun se po’ fa’…o meglio, si può giocare alla lotta, ma non si può pensare di fare “prove di gerarchia” come quelle che fanno i cani durante questi giochi, mimando tutti i meccanismi, gli atteggiamenti, i segnali che utilizzeranno poi nei rapporti “seri” (mordicchiate comprese, che son leggerissime e a un altro cane non fanno nulla, ma a noi staccherebbe un pezzo di pelle).
Però da questo tipo di “scuola gerarchica” non siamo completamente tagliati fuori: ci sono cose che possiamo fare anche noi, giocando con il cucciolo.
Per esempio, segni classici di dominanza sono la “presa di muso” (nella foto a destra) e la “presa di collo” (foto sotto a sinistra), che possiamo riprodurre benissimo usando le nostre mani come “fauci”.
NOTA: della “presa di collo” ho parlato in un libro, secoli fa, definendola “scuotere il cucciolo per la collottola”.
Speravo si capisse (perché a quei tempi davo per scontato che la gente, i cani, li guardasse) che intendevo: lo afferri per la pelle del collo e fai UN movimento di “scossa”, come fanno le mamme con i cuccioli per sgridarli (a volte non danno neanche quella singola scossa lì,  ma si limitano a tenere il piccolo immobilizzato) e come fanno spesso i cani adulti tra loro, quando provano a stabilire chi comanda.
Apriti cielo: c’è stata gente che prendeva i cuccioli e li scrollava come stracci vecchi, a mezzo metro dal suolo.
Ovviamente non mi sono mai più sognata di scrivere “scuotere per la collottola”: anche perché da allora ho imparato qualcosa in più sugli umani, e non solo sui cani.
Altri segni  di dominanza riproducibili dall’uomo sono:
appoggiare il muso o le zampe  (la mano, per noi) sul garrese o sulla schiena o sulla testa; il gesto della monta (imbarazzante se pensiamo di farlo esattamente come loro, ma riproducibile abbracciando il cane da dietro); appoggiarsi sul cane (magari non esattamente come fa il boxer nella foto, che è un filo eccessivo).
Se si compiono gesti simili su un cane estraneo, è facile che il cane estraneo reagisca male: ci vede, infatti, come perfetti sconosciuti che vogliono dominarlo.
E la cosa potrebbe non piacergli neanche un po’ (anzi, diciamo che non gli piace proprio MAI: se non ci azzanna è solo perché è stato educato a non farlo).

Ora chiediamoci: ha davvero senso compiere gesti canini “umanizzati”,  nel  rapportarci col nostro cane?
A mio avviso sì, specie quando si tratta di un cucciolo (ma non solo).
Certamente non “per fargli capire che comandiamo noi”: magari bastasse fargli pat pat sulla testa!
Però ha senso compierli:
a) perchè, come lui si sforza di capire l’italiano, noi dovremmo sforzarci di imparare (e di parlare) il canese.
b) perché, dopo aver giocato con lui, questi gesti servono a “ristabilire le gerarchie”…e quindi ci servono come test: infatti, se lui li accetta, significa che accetta la nostra dominanza serenamente e senza porsi troppi problemi.
Se invece cerca di capovolgere la situazione, sottrandosi o ribellandosi, c’è qualcosa che non funziona nel nostro rapporto gerarchico.
Ed è molto meglio capirlo dopo un gioco, piuttosto che aspettare che arrivi davvero un conflitto.
Ed eccoci finalmente al punto chiave: come si fa ad essere “il capo” del nostro cane? E se ci accorgiamo che lui sta mettendo in discussione questo ruolo, come possiamo recuperarlo?
Intanto chiariamo subito che il termine “capo” è corretto se lo intendiamo nel senso di “superiore gerarchico”: invece il termine “capobranco”, pur rendendo l’idea ed essendo diffusissimo  (ogni tanto lo uso anch’io, proprio perché così tutti capiscono di cosa sto parlando) è  decisamente ambiguo.
E’ vero, infatti, che un capobranco è sempre un cane dominante…ma non è affatto detto che un cane dominante sia il capobranco!
Figuriamoci, poi, in una famiglia-branco umana: se il cane riesce a dominare i suoi umani dovrebbe forse anche andare alle assemblee di condominio, portare a casa uno stipendo, pagare le bollette?
Altra ambiguità:  non significa nulla essere “capobranco” di un solo soggetto (se poi magari siamo capi del cane, ma succubi della moglie, la cosa diventa proprio comica).
Il capobranco, in natura, è il leader di un gruppo, di una struttura sociale: ma non “domina” il branco. Lo guida!
E questo, per esempio,  non implica mai la forza fisica (a che servirebbe?), mentre la forza fisica è una delle componenti che possono (non devono, ma possono) intervenire nei rapporti (a due) di dominanza/sottomissione.
Quindi enunciamo la GRANDE VERITA’ (di fronte alla quale molti bambini fanno ohhhh!!!): “dominante”  e “capobranco” NON SONO SINONIMI!
Sono concetti sovrapponibili in alcuni casi, questo è vero: ma lontanissimi in altrettanti casi.
E che, in altri casi ancora, si incasinano a vicenda: non nella comprensione dei termini, ma proprio nella realtà dei fatti!
Per esempio: il cane A può essere sottomesso a voi, ma dominante sull’altro cane di casa B, che però a sua volta vi mette le zampe in testa.
In questo caso, chi è il capobranco?
Se avete risposto: “Mia moglie!”, perché vi fa filare tutti, va tutto bene: siete un branco fornito di un leader…  e i conflitti interpersonali, intercanini o personalcanini ve li risolverete tra voi, con calma.
Se avete risposto “BOH?”…allora, Houston, abbiamo un problema: perché i due cani, non essendoci una figura guida di riferimento valida per tutti, non saranno affatto soddisfatti dell’andamento del branco. Un branco senza un leader non funziona!
Quindi i casi sono due: o si sfideranno tra loro A e B, oppure A finirà per sfidare voi. Perché uno dei due dovrà andare a colmare una lacuna che per la mente canina è inaccettabile.
Se invece un  “capobranco” c’è (chiunque esso sia), gli altri rapporti gerarchici potranno variare di volta in volta: perché nessuno “nasce dominante”, perché a qualcuno non frega un accidenti di dominare, perché a qualcun altro invece frega moltissimo di dominare su A, ma si sottomette volentieri a B…e così via.
Quella di “dominante” è una posizione:
a) che varia a seconda dei soggetti con cui ci si rapporta;
b) che può  variare a seconda dei momenti e dei reciproci comportamenti.

Per esempio: noi possiamo essere stati “capi” accettabili per un cucciolo, che non ci ha mai messo in discussione… ma arrivato a sette-otto mesi, un bel giorno, lui decide di essere diventato più intelligente, più forte e più adatto di noi a gestire le situazioni.
Quindi ci sfida (a volte in modo palese, più spesso  in modi che noi non riconosciamo neppure): e qui bisogna essere bravi sia a CAPIRE che siamo stati sfidati, sia a gestire la situazione in modo da rimettere il cane al suo posto.
La “dominanza” varia anche a seconda dei momenti: per esempio, tra i cani da slitta, il leader è quello che guida la muta (è attaccato davanti a tutti, quindi gli altri lo seguono e stop), ma deve rispondere ai comandi del musher (l’umano) e quindi essergli gerarchicamente inferiore. Il fatto è che il musher sta in fondo alla slitta, mentre il cane leader sta in testa: quindi vede per primo cose che l’umano non può ancora vedere.
Mettiamo che il musher gli abbia dato il comando “gira a destra”, e che il cane si accorga che sulla sua destra c’è un crepaccio: se obbedisse ciecamente al “capo” ci volerebbe dentro con tutta la muta, la slitta e lo stesso umano.
Un buon leader, invece, è quello che si ferma e non obbedisce all’ordine, ma salva la pelle a tutti.
Quindi la dominanza dell’umano su questo tipo di cani dev’essere molto aperta. Del tipo: “fai quello che dico io, a meno che tu non ti renda conto che ho detto una cazzata”.
Al contrario, per un cane da Obedience, la dominanza del conduttore in gara dev’essere assoluta: il cane non può sgarrare neanche di un millimetro.
Ovviamente però, nessuno può pretendere lo stesso atteggiamento “da soldatino robot” quando il cane NON si è in gara: quindi la dominanza varia a seconda delle situazioni.  Il cane deve capire che ci sono i momenti in cui “quello che dice il capo è legge” ed altri momenti in cui può prendere anche qualche decisione in proprio.
Tutto questo si chiama “collaborazione”: c’è un leader, sì, ma si lascia anche il cane libero di gestire alcuni momenti “suoi”, di prendere alcune decisioni e così via. Dopotutto questo succede anche in natura, perché il dominante non è mica sempre lì a dare ordini ai suoi sottomessi. I ruoli emergono chiaramente solo in certi momenti, per esempio quando il branco deve compiere un’azione di gruppo.
Invece caricare il cane di troppe responsabilità, chiedendo sempre e solo a lui di prendere decisioni e risolvere situazioni, permettendogli di comandare, insomma, mantenendo però un ruolo di subordinato… finisce spesso per chiamarsi “stress” e/o confusione mentale.
Ed è quella che ho avuto personalmente modo di riscontrare in alcuni cani che “sanno fare troppe cose”, figli di un cognitivismo esasperato (sia chiaro: io approvo totalmente l’approccio cognitivista, perché sono profondamente convinta che il cane RAGIONI. Ma da qui ad aspettarmi che mi risolva un’equazione quantistica, ce ne passa).
La tragedia della cinofilia attuale è che viviamo contemporaneamente in mezzo a persone che pensano ancora che il cane “si debba dominare a calci nel culo”, e ad altre che invece lo iscriverebbero volentieri alla facoltà di filosofia.
Una sana via di mezzo, forse, sarebbe più sensata: e per fortuna c’è chi la segue. Ma gli eccessi, da una parte e dall’altra, abbondano.
Tornando alla vera e propria “dominanza”, da quanto detto sopra si dovrebbe dedurre facilmente che quella umana non PUO’ essere costruita sulla paura e sulla violenza, ma sulla stima e sulla fiducia che cane e umano possono/devono anche interscambiare.
E’ vero che comando io, ma in certe occasioni mi fido di quello che decidi tu (vedi cani da slitta).
Se ti dò un ordine devi obbedire perché devi pensare che  ho sicuramente un motivo valido, ma se non ti sto chiedendo niente puoi anche occuparti dei casi tuoi.
Tutto questo, effettivamente, sembrerebbe allontanarsi parecchio dal  concetto prettamente “canino” di dominanza-sottomissione, che si riducono a un “vediamo chi deve stare sopra e chi sotto”.
Ma il motivo è molto semplice: in un branco di cani esistono pochissime situazioni da gestire.
Vigilanza, tutela del branco e dei cuccioli, ricerca di territori di caccia, caccia vera e propria…e basta, in pratica è tutto qua.
La società umana è molto più complessa, un branco-famiglia can-umano è molto più complesso (anche solo per il fatto di essere composto da più specie diverse) e le situazioni da affrontare/gestire/risolvere sono veramente infinite: quindi è vero che non basta stabilire “chi sta sopra e chi sotto”…ma è anche vero che, se non si stabilisce chi sta sopra e chi sotto, NON SI VA DA NESSUNA PARTE.
Sì, per carità…si può giocare insieme, fare la pappa, farsi le coccole, dormire insieme ed essere felici… almeno fino al momento in cui non apparirà una causa di conflitto (che prima o poi arriva SEMPRE, si abbia un chihuahua o un rottweiler).
In quel momento la domanda principale tornerà ad essere quella: chi dei due dirige l’orchestra?
E finché non  si troverà una risposta, cane e umano non riusciranno a procedere in nessuna direzione comune.
E allora, come si diventa “direttori d’orchestra” del nostro cane?
Sicuramente lo si diventa diventando, ai suoi occhi, “capi” affidabili: coerenti (fon-da-men-ta-le!), capaci di gestire correttamente le risorse e le situazioni.
Sembra facile, no? In fondo noi siamo gli “esseri superiori”!
Invece, a volte, anche se in buonissima fede e mettendoci tutta la nostra presunta intelligenza superiore, commettiamo errori clamorosi.
Un esempio classico: due cani che litigano. L’umano del più piccolo, pensando di proteggerlo, lo prende in braccio: l’altro cane salta su e gli dà un mozzicone nel sedere.
Quell’umano, dal punto di vista del cane, è stato uno sciagurato che ha gestito la situazione in modo pessimo: infatti gli ha impedito di difendersi e ha messo il suo rivale in condizione di vantaggio. Come superiore gerarchico, ha perso dieci punti.
Il problema, per noi, è sempre quello di riuscire a ragionare da umani, ma pensando anche un po’ da cani: e non è per niente facile.
E a questo punto mi piacerebbe darvi qualche consiglio sulle cose giuste da fare per ottenere una sottomissione felice e serena, un’obbedienza pronta e un rapporto senza ombre… ma ho di nuovo scritto troppo, e se continuo qui anche questa seconda parte diventa infinita e pallosa.
Quindi chiedo scusa, ma mi toccherà farne una terza.
Nella prima e nella seconda “puntata” di questa serie sulla dominanza abbiamo parlato del fatto che a MIO avviso -  che (ribadisco) non è la Verità Infusa, ma solo il risultato di un’esperienza cinofilia piuttosto lunga (leggi: vecchiaia) – i cani SONO gerarchici; che i rapporti gerarchici si instaurano anche con l’uomo; che l’uomo deve diventare il “capo” del cane, inteso come “guida”.
Infine ho cercato di spiegare i motivi per cui “capobranco” e “soggetto dominante” non sono affatto sinonimi.
Adesso bisognerebbe arrivare al “sodo”, ovvero spiegare COME si diventa guide sicure, fari nella notte, divinità assolute dei propri cani.
Ma la prima cosa che bisogna chiarire è che “il cane” in senso assoluto, oggi, non esiste più.
La selezione umana non ha modificato soltanto l’aspetto fisico dei nostri amici pelosi – che un tempo erano pressoché divisi in due sole categorie (cani grandi – cani piccoli)  mentre oggi abbiamo circa 340 razze riconosciute dalla FCI e diverse altre riconosciute da Enti cinofili di Stati non europei – ma ha influito molto anche sul carattere.
Molte razze, anche se non si somigliano fisicamente, sono piuttosto affini dal punto di vista caratteriale: quando ho visitato per la prima volta un allevamento di cani lupi ceslovacchi li ho trovati caratterialmente molto più vicini ai miei husky di quanto non lo siano, per esempio, gli alaskan malamute, che pure ne sono “parenti” assai più stretti.
In compenso, quando ho incontrato i miei primi terrier di tipo bull, ho pensato: “Ma questi son mica cani!”; anche perché, quando vedevano un loro simile, la prima cosa a cui pensavano era il modo migliore di mangiarselo arrosto con le patatine.
Specifichiamo, quindi, che tutte le situazioni descritte nei primi due articoli valgono per i cani più vicini al “cane naturale”: insomma quelli che hanno ancora validi motivi per ritenersi un po’ “lupi inside” perché la selezione umana non li ha maneggiati più di tanto.
Quindi valgono per i cani primitivi, per molti cani da pastore (intesi come conduttori del gregge: per i guardiani un po’ meno), per quasi tutti i cani da caccia, per molti cani nordici e per quasi tutti quelli da compagnia.
Le cose però cambiano decisamente quando si parla di terrier (che sono stati selezionati per essere particolarmente aggressivi con le proprie prede) e per diverse razze da guardia e/o difesa, a loro volta selezionate per mostrare alta aggressività, stavolta verso i malintenzionati umani.
Il fatto è che, quando vuoi riprodurre una dote delicata come l’aggressività, diventa difficilissimo selezionarla “a settori”. Ovviamente tutti gli umani hanno sempre badato moltissimo a far sì che i cani non mostrassero ostilità verso gli altri umani (inoffensivi), specie con quelli del proprio branco-famiglia: però se ne sono allegramente infischiati di selezionare cani che non entrassero in ipercompetitività con i loro simili…anche perché quelli eran tempi in cui il cane difficilmente usciva dal proprio territorio e sicuramente non frequentava parchetti, “aree cani” e affini.
Nel caso dei terrier di tipo bull, addirittura, si è selezionata apposta l’aggressività intraspecifica, visto che lo scopo primario era proprio quello di usarli nei combattimenti (e chiedo scusa per la foto a sinistra…ma se volete vedere dei combattimenti veri, sui motori di ricerca c’è ampia scelta. Io preferisco evitare di mostrare qualcosa che mi fa rabbrividire).
Lo stesso discorso vale per l’Akita e per lo Shar Pei, oggi considerati graziosi cagnolotti da compagnia, ma con un comune passato da lottatori.
In generale, più l’uomo seleziona, più la razza si allontana dal tipo primitivo, sia fisicamente che psicologicamente.
Quindi tutte le esperienze personali che ho riportato nelle prime due parti di questa mini-serie si possono prendere per buone qualora si abbiano cani primitivi, nordici, da pastore o da caccia (o meticci derivati).
Se invece si hanno boxer, rottweiler, pit bull o amstaff  (o meticci derivati)… non è che le cose dette proprio  non valgano, perché nei cuccioli, per esempio, si osserveranno precisamente gli stessi comportamenti che ho descritto nei miei husky.
Solo che nei cani, una volta diventati adulti (con più evidenza nei maschi, ma non sempre e non solo) la selezione umana finisce per prevalere sul DNA “primitivo”.
In parole povere: se mollate insieme un pastore tedesco e un cane lupo cecoslovacco, adulti e maschi, che decidono di confrontarsi gerarchicamente, vedrete uno scontro ritualizzato (sempre che si tratti di cani equilibrati); se mollate insieme un boxer e un rottweiler è assai probabile che di “ritualizzato” vediate ben poco e che assistiate a qualcosa di molto più simile a un combattimento all’ultimo sangue. Se poi mollate assieme due pit bull, la cosa non è più solo “probabile”, ma è quasi certa.
In generale, tanto più il cane si avvicina al tipo lupino, tanto più varranno le regole gerarchiche “naturali”: e viceversa.
Un’interessante teoria che suddivide le razze canine in diversi “stadi” basati proprio sulla vicinanza/lontananza dal prototipo lupino è quella della neotenia, che considera la distanza dal tipo primitivo in funzione dell’età: i cani più lontani dal lupo sarebbero in realtà cani le cui caratteristiche sono state fissate ad uno stadio più  giovanile, mentre i cani più lupini sarebbero quelli che sviluppano fino in fondo le caratteristiche dell’adulto  (se ne parla diffusamente, se vi interessa, in questo articolo).
Ma laddove la selezione umana ha creato razze che se non ritualizzano più, che non rispettano le regole gerarchiche, in cui tutti vogliono dominare su tutti…non c’è più niente da fare?
No: in realtà, volendo, si può intervenire.
Per esempio si può cercare di far prevalere gli influssi ambientali su quelli genetici, almeno nei limiti del possibile.
Un cucciolo correttamente imprintato, socializzato, educato ecc. (sempre che continui ad avere rapporti con altri cani, perché altrimenti la sua capacità di socializzazione regredirà) può arrivare a convivere pacificamente con i suoi simili anche se appartiene a una razza geneticamente intollerante.
Ho conosciuto personalmente il pit bull che vedete nella foto -  di purissima linea di sangue americana da combattimento! – che non solo faceva agility ma che, non appena vedeva un altro cane, gli correva incontro per invitarlo a giocare con lui: ma questo è il risultato di una socializzazione e di un’educazione assolutamente impeccabili, che solo un cinofilo competentissimo, solitamente, riesce a dare al proprio cane.
Invece la semplice “convivenza non belligerante” con gli altri cani la può ottenere quasi chiunque, ammesso che lo voglia: purtroppo il mondo è anche pieno di deficienti per i quali vedere il proprio cane che ne sbrana un altro è una goduria da orgasmo.
Detto questo, appare anche chiaro che diventare capo-guida-leader (scegliete voi quello che preferite) di un rottweiler NON è la stessa cosa che diventarlo di un barbone o di un golden.
Ciononostante, c’è qualcosa che accomuna tutte le razze, e cioè le cose da NON FARE per diventare “dominanti” sul nostro cane.
Sicuramente non  lo si diventa MAI sottomettendolo “a calci in culo”, o con altri mezzi/strumenti violenti.
Abbiamo visto che nei cani più “lupini” gli scontri fisici sono ritualizzati, mimati, una specie di  gara “a chi le spara più grosse”, mentre in quelli meno “lupini” sono reali e violenti: ma attenzione, perché quelli NON SONO propriamente scontri “gerarchici”.
Ovvero, non sono mirati solo alla sottomissione dell’altro cane, ma al suo allontamento dal branco: che si può ottenere mettendo in fuga l’avversario, oppure facendolo proprio  fuori.
In natura non succede?
Di solito no, ma in alcuni casi sì.
L’uomo, per quanto abbia pasticciato con la genetica canina, non è ancora capace di  “inventare” geni che già non facciano parte del genoma del cane.
Quello che ha potuto fare è stato mettere in evidenza quelli che gli interessavano, accoppiando di volta in volta cani che manifestavano le caratteristiche a lui gradite: e tra queste ha trovato anche la “volontà” , se così vogliamo definirla, di far fuori un avversario… perché succedere, succede. Anche in natura.
Anche nel più pacifico branco di lupi può scattare una motivazione tale da far sì che si decida di “levare di torno” un membro del branco, che quindi viene attaccato seriamente e non più in modo ritualizzato. Dopodiché, o fugge e viene emarginato, oppure viene ucciso (e di solito, se può, lui sceglie l’opzione A).
 

Questo non è un cane sottomesso: è un cane terrorizzato
Questo significa che nella mente di QUALSIASI cane, dal più primitivo al più selezionato dall’uomo, l’opzione “venire picchiato sul serio, da qualcuno che mostra di essere furioso con me” significa “mi vogliono escludere dal branco, oppure uccidere“.
Il fatto è che il cane moderno non può scegliere l’opzione “fuga”: perché non saprebbe dove andare.
Se il branco di lupi vive in un territorio naturale, che dà ad ogni soggetto la possibilità di sopravvivere, cacciare e – al limite  – rifarsi una famiglia e costruirsi un branco suo, per il cane domestico questa possibilità non c’è.
Se fuggisse dalla sua famiglia si ritroverebbe in un mondo che non conosce e non capisce, nel quale non saprebbe come sopravvivere da solo. E il cane, essendo capace di ragionamento, questo  lo sa benissimo.
I cani inselvatichiti (non per scelta, ma perché sono stati abbandonati) sono dei paria che vivono quasi sempre ai margini della società umana, che cercano di rubacchiare rifiuti perché non trovano “terreni di caccia”, che si nascondono dove capita perché non hanno la possibilità di scavarsi una vera “tana” nel cemento o nel’asfalto, e così via.
Non sono più cani domestici, ma non sono neppure in grado di ridiventare selvatici: questo non li rende affatto cani “più naturali” del cane domestico, ma li rende dei poveri disadattati, dei borderline che vivono al confine tra un mondo che li ha rifiutati e un altro che forse sognerebbero, ma che in realtà non esiste.
Nessun cane sceglie volontariamente di infilarsi in una situazione simile: quindi il cane domestico, qualora venga trattato con violenza, pur pensando che il suo branco voglia scacciarlo o ucciderlo, non sa dove scappare.
E poiché di solito non viene neanche ucciso, ma solo maltrattato, cerca di adeguarsi sottomettendosi ad una situazione che non capisce, perché questa sì che è fuori da tutti i suoi schemi genetici, ma dalla quale non sa come fuggire.
Cosa succede, a un cane trattato in questo modo? Succede che prima o poi (i tempi dipendono dalla sua tempra e dal suo temperamento), va fuori di testa. Sclera. Schizza.
Vi siete mai chiesti perché in quasi tutte le discipline sportive si vedono cani che stravincono per un’intera stagione, e l’anno dopo spariscono?
Vi siete mai chiesti come mai ci siano personaggi (umani) che si possono abbinare ad un gran numero di queste “misteriose sparizioni”?
Certo, le spiegazioni ufficiali saranno sempre apparentemente logiche: il cane si è infortunato, la cagna ha fatto una cucciolata, è arrivato un altro cane migliore e quindi ho messo “a riposo” quello di prima… ma la realtà è che molti cani, ogni anno, vanno fuori di testa perché sono stati addestrati da macellai che hanno fatto ricorso a tutte le brutalità possibili per ottenere risultati veloci e sicuri …e MAI duraturi: ma a molte di queste persone non frega un accidenti della durata, specie quando il cane non è il loro, ma deve solo “vincere subito” e poi passare in riproduzione. Dunque un anno di risultati, massimo due.
E…sì, lo so che stessa cosa succede alle squadre allenate da Mourinho, che durano tutte due anni al massimo: ma non credo che lui usi il collare elettrico sui giocatori. Probabilmente, nel suo caso, lo sfruttamento è solo fisico (anche se qualche domanda, dopotutto, io me la farei anche su di lui e su molti altri allenatori di umani, in diversi sport).
Comunque, tornando ai cani,   gli addestratori “macellai” non sono soltanto pessimi umani. Sono anche pessimi cani.
Sono persone che, a loro volta, non hanno capito un accidenti delle creature viventi che hanno intorno: ma a loro frega poco, perché in quell’anno-massimo-due di risultati il cane “si fa il nome”: dopodiché comincia a sfornare cuccioli, se è femmina, o a trombare come un riccio (e a caro prezzo, con grandi benefici per le tasche del proprietario) se è maschio. E se nel frattempo dà i numeri, se è un povero infelice stressato, se si morde le zampe o ulula ai fantasmi, amen: tanto nessuno vede.
Ma per gli addestratori-macellai, almeno, c’è la motivazione  del ritorno economico. Non che sia un’attenuante nè una scusa valida, ma è indubbio che sia una motivazione.
Purtroppo, però, non ci sono solo loro (magari!  perché sarebbero quattro gatti, dopotutto). Purtroppo la storia del cane “che va sottomesso con la forza”   la crede fermamente anche una percentuale altissima di privati, che tortura ogni giorno il proprio cane di casa pensando, così, di diventarne il “capobranco”.
Invece, nella mente del cane, diventa solo “quel pezzo di m##da da cui dipendo e da cui non posso fuggire“.
E non si facciano confondere, questi signori, dal fatto che il loro cane poi gli lecchi le mani o gli faccia le feste quando arriva: quelli sono segnali di sottomissione, MA NON DI AMORE!
I cani non amano affatto chi li tormenta, alla faccia della retorica canina.
I cani subiscono una situazione di questo tipo solo perché, essendo animali sociali, non trovano il coraggio di abbandonare l’unica società che gli è disgraziatamente toccata, e cioè la famiglia dello stronzo.
Chiarito questo punto, vediamo invece cosa si deve fare.
Innanzitutto, qualora sia possibile, la leadership (termine corretto, che però mi fa venire le bolle da quando viene utilizzato dal noto “sussurratore” televisivo, che se non è un macellaio completo ci picchia vicino e che vi prego di NON imitare mai!) va stabilita con il cucciolo: e per sottomettere un cucciolo (non “fisicamente”, ma psicologicamente; e non nel senso di “schiavizzarlo”, ma in quello di “fargli pensare che noi siamo il faro che illumina il suo cammino) ci vuole veramente poco.
Basta spiegargli che se si comporta come diciamo noi, otterrà sempre e solo dei vantaggi (quindi, giù di rinforzi positivi alla grande: premi, bocconcini, coccole, entusiasmo).
NON c’è alcun bisogno di “punirlo” se invece non fa quello che diciamo noi, anche perché la punizione positiva, per essere davvero efficace, dev’essere tempestiva (nel giro di mezzo secondo) e almeno leggermente traumatica (e chi vuole traumatizzare un cucciolo? Per l’amor del cielo).
Ma allora, come si può fare ad impedirgli di fare il comodo suo? Semplicissimo: gli si insegna il comando NO.
Che non comporta punizioni alcun tipo, ma solo il condizionamento del cucciolo ad interrompere l’azione e a venire vicino a noi.
Se per caso qualcuno non sapesse come si fa…spiegazione iper-rapida: si distrae il cane!
a) si aspetta che inizi una qualsiasi azione a noi sgradita (una qualsiasi: per esempio rosicchiare qualcosa, o annusare insistentemente qualcos’altro). ATTENZIONE:  lo si deve beccare proprio all’”inizio”, altrimenti ci si potrebbe concentrare troppo sopra e chiudere i sensi a qualsiasi altra distrazione (un po’ come quando io sto scrivendo, il marito mi fa un discorso,  io gli dico “sì, sì certo” e in realtà non sento una parola. Poi, due giorni dopo, casco dal pero quando lui urlacchia: “Ma come, non ne sai niente? Te l’ho detto l’altroieri!”);
b) si dice “NO!” e contemporaneamente si produce un rumore (io consiglio una lattina piena di monetine, ma va bene qualsiasi altra cosa simile) che richiama l’attenzione del cucciolo;
c) appena il cucciolo guarda nella direzione del rumore (cioè, la nostra) lo si chiama e appena arriva lo si premia.
FINE.
Ovviamente bisogna variare tempi, modi e distrazioni, ma il concetto è sempre questo: il cucciolo deve abbinare il NO! al concetto di “smetti di fare quello che stai facendo e corri da me”.
E’ facilissimo, non coercitivo e soprattutto funziona.
Fatto questo, il cane ha imparato le due cose fondamentali della vita: che sa fa quello che gli chiediamo ottiene dei vantaggi e che smette di fare quello che noi non vogliamo viene fermato (non “punito”).
E se ignora il NO? Allora sì, viene “punito”: con un’alzata di voce e una parola chiave.  Io uso “Cattivo!”, che etologicamente è una cazzata (il cane non è mai “cattivo” perché non ha un senso morale), ma dal punto di vista umano suona “giusto” e quindi ti dà il tono e la faccia giusta. Però puoi dirgli anche “aspirina!” o “fragole col gelato!”. L’importante è che la parola chiave sia abbinata a un linguaggio del corpo e a una mimica facciale che esprimono disapprovazione.
Man mano che il rapporto col cane si stringe e si perfeziona, si arriverà al punto in cui, se solo fate “la faccia” disapprovante, il cane si sentirà “punito” (vedi foto).
Nel senso che la punizione, per lui, DEVE essere la disapprovazione del leader-capo-figuraguida-faronellanotte.
Se così non è, significa che non avete creato nessun rapporto:  ricominciate daccapo.
Già, ma ricominciate a far cosa?
A educare il cucciolo, ovviamente! Cosa pensate che fosse il “chiedergli di fare cose per poi premiarlo”?
Man mano che il cane cresce, queste “cose” diventeranno più numerose e più difficili: si potrà anche arrivare all’addestramento sportivo, o utilitaristico, ma ci si potrà anche limitare a dargli compiti precisi in famiglia: fai la guardia, difendi il bambino, porta le ciabatte. Va bene tutto,  l’importante è che il cane pensi di “servire a qualcosa” all’interno del suo branco .Io ho avuto, tra gli altri millemila cani, una maltese: chiederle di essere “utile” era un po’ complesso, viste dimensioni e peso. Però l’avevo “addestrata” a passarmi alcuni giochini del figlio – i più leggeri – quando lo mettevo nel box (il figlio, non il cane: ai tempi di Tatiana il figlio non aveva ancora un anno) e lei era orgogliosissima di questo suo compito. Si sentiva realizzata.
A proposito di bambini: è quasi impossibile che un cane riconosca un bambino come suo superiore gerarchico (almeno finché non arriva almeno a 10-11 anni). Sconsiglio quindi vivamente di far lavorare i cani con bambini molto piccoli, anche quando si tratta di razze particolarmente dolci e docili. I bambini sono splendidi compagni di giochi, ma l’educazione è un’altra cosa e deve essere affidata a un adulto.
Il nostro scopo primario è esattamente questo: far sì che il cane si senta realizzato. E che si senta così grazie a noi, a questi esseri che sanno sempre qual è la cosa giusta da fare, che gestiscono tutte le risorse disponibili (giochini, pappa, acqua, lavoro: tutto), che sono, guarda un po’… suoi superiori gerarchici.
Perché QUESTO significa “dominare” il cane: fargli pensare che siamo davvero (e non solo per convenzione) “esseri superiori” e che, obbedendoci, ne otterrà sempre dei vantaggi.
Se ci riusciamo, il cucciolo occuperà serenamente la sua posizione di “sottomesso”, che ci dimostrerà nel suo linguaggio: e qui entrano nuovamente in gioco le caratteristiche di razza, in particolare la tempra, che è la capacità di resistenza agli stimoli esterni che lo colpiscono, sia fisicamente che psicologicamente.
Un cucciolo di tempra molto morbida  sarà dunque più sensibile di uno di tempra dura: e le manifestazioni di sottomissione saranno conseguenti.

Un cane di tempra molle esibirà spesso atteggiamenti di sottomissione passiva, assai rari nei cani di tempra dura
La dominanza manifestata attraverso i nostri atteggiamenti è uno stimolo che colpisce psicologicamente il cane, anche quando siamo sommamente gentili con lui: se per esempio ci pieghiamo su di lui (posizione fortemente dominante), un cucciolo di rottweiler potrà scodinzolare allegramente e saltar su a darci un colpetto all’angolo della bocca (gesto di sottomissione attiva che proviene dal gesto che fanno in natura i cuccioli al momento dello svezzamento, quando toccano le labbra della mamma per farsi rigurgitare il cibo pre-digerito).
Un cucciolo di border collie, invece, potrebbe “spanciare” e farsi la pipì addosso: sottomissione passiva.
Emettere qualche goccia di urina non significa “essere spaventati”.
Per il cucciolo significa solo lanciare un segnale odoroso molto chiaro: “Ehi, annusa qua: lo senti che sono piccolo? Quindi devi proteggermi e non farmi del male!”.
Purtroppo molti proprietari puniscono, sgridandolo o addirittura picchiandolo,  il cucciolo che è andato in sottomissione passiva: in questo modo trasformano la loro dominanza in “oppressione” e il cane comincia ad aver paura di loro, anziché rispettarli e stimarli.
Il ruolo di “dominante” è meno semplice di quanto possa sembrare: per iscritto è tutto facile e lineare, “dal vivo” molto meno.
Le cose si complicano ancora, specie con i cani molto forti, quando il cucciolone di 6-7 mesi mette alla prova il “capo”, provando a sfidarlo: in alcune razze non succederà mai, in altre succede SEMPRE.
Se il “capo” scappa via spaventato, il cane “si gasa” e pensa di poter prendere il suo posto (poi in realtà è difficile che si senta davvero all’altezza, quindi rischia di stressarsi e di diventare un vero problema).   Se il “capo”  sclera e magari pensa di risistemare le cose dandogli una fraccata di botte, il cucciolone perde la stima in lui (e sarà ancora più invogliato ad arrampicarsi gerarchicamente).
Se il “capo” reagisce con calma serafica, gli dice un chiaro e secco “NO!” e poi lo premia col gioco, il cane pensa “wow, non ha fatto una piega davanti alla mia sfida: si sente tanto superiore che proprio non mi fila! Uhm, forse è meglio che lasci comandare lui”.
Non è sempre così facile restare calmi e serafici davanti a un rottweiler di otto mesi (leggi: quaranta chili buoni) che ti spiana i denti in faccia: in realtà spesso non è facile neanche col “cazzettino” da 5-6 chili, i cui denti non sono MAI paragonabili alla stazza ma sembrano sempre “rubati” a un cane molto più grosso. Se si sa  “leggere”il cane, però, si può capire abbastanza agevolmente quando fa sul serio e quando invece  il suo è solo un tentativo adolescenziale di sfidare l’autorità, senza nessun vero desiderio di prenderne il posto.
Attenzione: non tutti i cani sfidano così platealmente il loro “capo”, mettendola sul piano fisico. Un golden o un husky, che l’aggressività verso l’uomo non dovrebbero neppure sapere cosa sia, probabilmente giocheranno più di astuzia che di forza.
Per esempio, si infileranno per primi quando aprite la porta. O prenderanno possesso del vostro letto, magari facendovi pure gli occhioni dolci. O  magari faranno il gesto della monta sulla vostra gamba (pensiero immancabile dell’umano: “Ohhhh, poverino! E’ maturato sessualmente e ha assoluto bisogno di accoppiarsi!”. Segue annuncio sul giornale: “Cercasi DISPERATAMENTE femmina di golden…” ecc. ecc. I proprietari di maschi che gli trombano le gambe son sempre “disperati” perché il loro cane DEVE accoppiarsi nel giro di una settimana al massimo. In realtà dovrebbero essere preoccupati perché il loro cane vuole sottometterli gerarchicamente).
Ecco, nei casi appena elencati (ma SOLO in quelli) valgono le regolette su “come diventare capobranco” che troverete su moltissimi libri, articoli ecc. : ovvero i famosi “passate per primi dalle porte, non lasciate salire il cane sul letto, mangiate prima di lui” e compagnia bella.
Queste, in realtà, sono regole valide da utilizzare quando il cane sta cercando di scavalcarvi gerarchicamente.
Non ha senso, invece, utilizzarle “a priori”.
Finché il cucciolo (ma anche l’adulto) si dimostra rispettoso,  fiducioso e gerarchicamente sottomesso, può anche mangiarvi nel piatto e dormire con la testa sul vostro cuscino (sempre che a voi faccia piacere).
Le regolette sono valide anche nel caso adottiate un cane adulto, perché questi non sarà disponibile ad accettarvi su due piedi come “capi”. Però, una volta instaurato (o re-instaurato) un rapporto corretto, non c’è alcun bisogno di “far filare sempre il cane  come un soldatino: perché, così come “dominante” non è sinonimo di “capobranco”, non è neppure sinonimo di “padre padrone”.
Che altro ci sarebbe da dire su dominanza, sottomissione, gerarchie eccetera?
Moltissimo, ovviamente. Ma tre articoli mi pare siano sufficienti, almeno per ora!
Purtroppo l’argomento (che poi ne coinvolge molti altri) è talmente ampio che forse si potrebbe scrivere intero libro solo su di esso: stavolta, però, ci fermiamo qui, perché almeno le cose fondamentali credo che siano state
Così dicean tra lor, quando Argo, il cane,
Ch'ivi giacea, del pazïente Ulisse,
La testa, ed ambo sollevò gli orecchi.
Squassò la coda festeggiando, e poscia che visto
Ebbe dopo dieci anni e dieci Ulisse,
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Re: Dominanza, questa sconoscuta (anzi, questa grande fraintesa)
« Risposta #1 il: 07 Luglio 2011, 11:48:37 »
a Valeria Rossi risponderei con una domanda.

sei in un bosco, sera, nebbia, ti sei perso.

cosa fai?

Io in questa situazione mi affido al cane, lascio che sia lui a guidarmi.

Allora quando poi troviamo la via di casa vuol dire che "pensa di essere il capo branco" :D

Offline jimpiccanti

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Re: Dominanza, questa sconoscuta (anzi, questa grande fraintesa)
« Risposta #2 il: 07 Luglio 2011, 12:08:46 »
a Valeria Rossi risponderei con una domanda.

sei in un bosco, sera, nebbia, ti sei perso.

cosa fai?

Io in questa situazione mi affido al cane, lascio che sia lui a guidarmi.

Allora quando poi troviamo la via di casa vuol dire che "pensa di essere il capo branco" :D
anche lei fa un esempio pari al tuo sostanzialmente:
 La “dominanza” varia anche a seconda dei momenti: per esempio, tra i cani da slitta, il leader è quello che guida la muta (è attaccato davanti a tutti, quindi gli altri lo seguono e stop), ma deve rispondere ai comandi del musher (l’umano) e quindi essergli gerarchicamente inferiore. Il fatto è che il musher sta in fondo alla slitta, mentre il cane leader sta in testa: quindi vede per primo cose che l’umano non può ancora vedere.
Mettiamo che il musher gli abbia dato il comando “gira a destra”, e che il cane si accorga che sulla sua destra c’è un crepaccio: se obbedisse ciecamente al “capo” ci volerebbe dentro con tutta la muta, la slitta e lo stesso umano.
Un buon leader, invece, è quello che si ferma e non obbedisce all’ordine, ma salva la pelle a tutti.
Quindi la dominanza dell’umano su questo tipo di cani dev’essere molto aperta. Del tipo: “fai quello che dico io, a meno che tu non ti renda conto che ho detto una cazzata”. Tutto questo si chiama “collaborazione”: c’è un leader, sì, ma si lascia anche il cane libero di gestire alcuni momenti “suoi”, di prendere alcune decisioni e così via. Dopotutto questo succede anche in natura, perché il dominante non è mica sempre lì a dare ordini ai suoi sottomessi. I ruoli emergono chiaramente solo in certi momenti, per esempio quando il branco deve compiere un’azione di gruppo.
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Re: Dominanza, questa sconoscuta (anzi, questa grande fraintesa)
« Risposta #3 il: 07 Luglio 2011, 12:29:21 »
Giusto. Poi c'e' pero' da dire che in natura nei branchi di cani rinselvatichiti non esiste coordinazione di branco come nei lupi...

una cosa giusta e' che i cani sono animali gerarchici ma non credo che passino la loro esistenza a pensare alla gerarchia, soprattutto nei rapporti con gli umani...

Offline jimpiccanti

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Re: Dominanza, questa sconoscuta (anzi, questa grande fraintesa)
« Risposta #4 il: 07 Luglio 2011, 13:58:51 »
Giusto. Poi c'e' pero' da dire che in natura nei branchi di cani rinselvatichiti non esiste coordinazione di branco come nei lupi...

una cosa giusta e' che i cani sono animali gerarchici ma non credo che passino la loro esistenza a pensare alla gerarchia, soprattutto nei rapporti con gli umani...
http://www.tipresentoilcane.com/2011/06/30/quando-la-dominanza-non-centra-un-tubo/
 e anche qui sembra che lei sia dello stesso tuo parere :)
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Offline elisavalli

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Re: Dominanza, questa sconoscuta (anzi, questa grande fraintesa)
« Risposta #5 il: 07 Luglio 2011, 15:11:41 »
L'avevo letto anch'io, leggo sempre gli articoli su Ti presento il cane   ;D ;D Normalmente non ho che applausi per l'autrice ma in questo caso ho la sensazione che lei sia un pochino troppo influenzata dai cani nordici con cui ha avuto a che fare tutta la vita, che ha allevato, ecc. Probabilmente se avessi avuto anch'io quel tipo di cani darei un valore più elevato alla dominanza e alle gerarchie rispetto a come sono abituata a fare nel caso dei golden. In questi ambiti secondo me le attitudini di razza contano molto...i nordici sono selezionati per tirare le slitte, tutti in fila, in ambienti estremamente ostili. Già stare in fila davanti a una slitta è una metafora di gerarchia se vogliamo. E i retriever sono fatti per stare seduti in linea tutti assieme, pari livello, fermi e tranquilli accanto a cani sconosciuti e accanto al proprio conduttore. E sono fatti per lavorare con un buon grado di autonomia e non solo per seguire la coda di quello davanti. Secondo me cambia proprio la forma mentis...

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Re: Dominanza, questa sconoscuta (anzi, questa grande fraintesa)
« Risposta #6 il: 07 Luglio 2011, 15:32:27 »
secondo me è proprio il termine "dominanza" che fa un po' storcere il naso.... se si parlasse di capacità decisionale forse sarebbe diverso... alla fine nei branchi di lupi chi è il "dominante" ?? Quello che si prende l'onere di effettuare una scelta....
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Re: Dominanza, questa sconoscuta (anzi, questa grande fraintesa)
« Risposta #7 il: 07 Luglio 2011, 16:08:34 »
secondo me invece Valeria Rossi e' una reazionaria che scrive tutto e il contrario di tutto per continuare a far passare il messaggio che i cani debbano obbedire e che se salgono sul divano diventano dominanti.

Offline jimpiccanti

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Re: Dominanza, questa sconoscuta (anzi, questa grande fraintesa)
« Risposta #8 il: 07 Luglio 2011, 16:11:34 »
secondo me invece Valeria Rossi e' una reazionaria che scrive tutto e il contrario di tutto per continuare a far passare il messaggio che i cani debbano obbedire e che se salgono sul divano diventano dominanti.

mh... effettivamente ho letto solo i due articoli che ho postato di questa valeria rossi, quindo non la conosco a fondo.... pero' da questi articoli non mi era sembrata cosi' reazionaria.... però ripeto ho letto solo 2 articoli suoi...quindi non ho molta voce in capitolo.
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Re: Dominanza, questa sconoscuta (anzi, questa grande fraintesa)
« Risposta #9 il: 07 Luglio 2011, 20:53:48 »
cmq la poca simpatia che provo per quello che scrive si riferisce solo alla parte di educazione e addestramento del cane. Per il resto ha una grande conoscenza dei cani ed e' da applaudire per le battaglie contro l'importazione di cani dall'est e contro cagnari e pet shop!

Per il resto, giusto per inquadrare chi sia Valeria Rossi da un punto di vista di educazione cinofila questo e' un estratto da un suo articolo di Giugno 2011

Citazione
COLLARE A STRANGOLO: collare composto da una catenella con due anelli terminali, che si può usare in due moti: o sovrapponendo i due anelli e fissando il guinzaglio ad entrambi, nel qual caso non si ha alcuna azione “strangolante”,  oppure facendo passare la catenella in uno di essi e fissando il guinzaglio ad un solo anello, ottenendo quello che i gentilisti definiscono “cappio”, sottintendendo che lo usa sempre e solo per impiccare il cane).
La vera motivazione per cui si usa il guinzaglio nella posizione “a strangolo” è che il cane non ha alcuna possibilità di togliersi il collare dando uno strappo indietro (come invece può fare con qualsiasi collare di cuoio, a meno che non glielo si stringa in modo indecoroso intorno al collo, strozzandolo veramente): quindi lo si potrebbe definire più correttamente  “collare di sicurezza”.
Purtroppo chi gli ha dato il nome di “collare a strangolo” (in base all’aspetto e non certo alla sua funzione primaria) non sapeva che un giorno sarebbero arrivati i gentilisti (v.) e i buonisti (v.) a far casino.
Chi usa effettivamente il collare a strangolo per strozzare/impiccare il cane fa parte della categoria dei macellai (v.) e non certo di quella degli educatori e/o addestratori.
Gli addestratori di scuola tedesca, oltre che per la sicurezza, utilizzano il collare a strangolo per insegnare la condotta in modo tutto diverso da quello che credono i gentilisti (v.): ovvero, non ci sogna neppure di tirare da una parte mentre il cane tira dall’altra, appunto strozzandolo, perché si sa perfettamente che ad un’azione (tirare) il cane risponde con un’azione uguale e contraria (tirare più forte dalla parte opposta). L’hanno scoperto per primi gli eschimesi quando hanno attaccato per la prima volta un cane a una slitta, quindi giuro che ormai ce ne siamo accorti anche noi. Chi non se n’è ancora accorto, al massimo, è il classico “cuggino” che non ha mai visitato un campo di addestramento in vita sua.
La condotta si insegna utilizzando la catenella per richiamare l’attenzione del cane su di noi con leggeri colpetti (leggere bene: COLPETTI, in modo che il collare faccia “dling dling”, e non in modo da causare dolore al cane),  almeno finché il cane non si accorge che noi, lassù in alto a sinistra, teniamo il suo giocattolo preferito (se ne accorge in una lezione e mezzo circa): dopodiché i colpetti servono solo una volta ogni tanto, quando il cane si distrae.
E’ possibile anche insegnare prima la condotta senza guinzaglio e poi quella al guinzaglio, e in questo caso non servono manco i colpetti: però si usa lo stesso il collare a strangolo per evitare che il cane, strattonando all’indietro, finisca magari sotto una macchina. Il che, più che maltrattamento, a me sembra prudenza

Citazione
COLLARE A PUNTE: strumento coercitivo e quasi sempre inutile,  usato dai macellai (v.) che non sanno far lavorare un cane senza fargli male, o a cui non frega un accidenti del benessere del cane (per questo sono macellai). Può essere usato anche con le punte girate all’infuori, e in questo caso chi lo usa non è un macellaio ma un tamarro che vuol far sapere a tutti chec’hailcanefigo che se combatte con un altro cane vince, perché l’altro non può azzannarlo al collo (gli sfugge il fatto che l’altro cane potrebbe azzannare il suo all’arteria femorale e farglielo fuori in dieci secondi netti. Ma soprattutto gli sfugge il fatto che lasciar combattere due cani è una cosa da criminali).

Citazione
CONDIZIONAMENTO: processo mediante il quale il cane impara ad associare uno stimolo con una risposta.
Non è una brutta cosaccia cattiva, né una cosa buona.
E’ solo che la mente del cane, esattamente come quella umana, è condizionabile: ma a differenza dell’uomo, che può imparare per via “culturale”, il cane può imparare solo attraverso il condizionamento

Ripeto, a me fanno ridere (e molto) i suoi articoli ironici e la apprezzo per le battaglie contro l'importazione dei cani...ma ci fermiamo li.
« Ultima modifica: 07 Luglio 2011, 21:19:29 da Belver »

 


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