Autore Topic: Ma esiste o no, questa “gerarchia”?  (Letto 2441 volte)

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Offline joy

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Ma esiste o no, questa “gerarchia”?
« il: 11 Aprile 2011, 22:19:54 »
Ho trovato questo link....volevo sapere cosa ne pensate.....
ps: spero che non sia sbagliato postarlo qui....nel caso mi scuso, e son sicura che Chiara o gli Adm lo cancelleranno ;)

http://www.tipresentoilcane.com/2011/04/04/ma-esiste-o-no-questa-gerarchia/

“Il metodo gentile non si basa sulla gerarchia (io comando, tu obbedisci)”.
Così si legge sul sito di un noto campo di addestramento “gentile”.
Questo approccio è assolutamente scorretto e fuorviante, visto che gerarchia NON significa nulla di questo genere.
I rapporti gerarchici tra i canidi, purtroppo, sono stati studiati a fondo solo sul lupo: molto meno sul cane domestico, che in realtà è ancora “molto” lupino, ma non “completamente” lupino.
E soprattutto non lo è in ugual misura per tutte le razze.
Pensare che esista un solo concetto di “gerarchia” (per di più se lo si interpreta pure in modo sbagliato) è un errore gravissimo: così come lo è pensare che tutti i cani si possano trattare nello stesso modo (e se poi il metodo non funziona, allora si decreta che sono squilibrati e pericolosi).

In realtà il cane è un essere intelligente e senziente, che prova sentimenti di amore, antipatia, rabbia, paura ecc. ecc.
Ed è anche un animale sociale e fortemente gerarchico, perché tali sono quasi tutte le società: se non esistono uno o più capi, uno o più sottoposti e una serie infinita di “vie di mezzo”, nessuna società può funzionare. Neppure quella umana.
Perfino la nostra democrazia (o presunta tale) finisce per demandare le decisioni e la gestione della risorse a un gruppo ristretto di persone: altrimenti sarebbe il caos.
“Prendere decisioni”, però, non significa imporle e tantomeno imporle con la forza: questo è quello che fanno i tiranni, non i capi democratici (ovvero i “superiori gerarchici” intesi in senso umano).

Quindi, punto primo: cerchiamo di capire che il cane, in un superiore gerarchico, non cerca un tiranno ma una figura autorevole, una guida, qualcuno di cui fidarsi e a cui potersi affidare. Qualcuno da stimare, e non da temere.
Questo è il vero “capobranco”  (anche tra i lupi, ma ancor più tra i cani domestici) che ogni proprietario di cane dovrebbe sforzarsi di impersonare.
Quello che NON si deve mai fare è impersonare una figura tirannica (che viene temuta, ma non stimata e spesso neppure amata, per quanto il cane abbia a disposizione una riserva d’amore decisamente superiore a quella umana); così come, però, non si deve impersonare la figura della “tenera mammoletta” che chiede sempre e solo “per favore”, che rimpinza sempre e comunque il cane di cibo-premio anche quando fa semplicemente il suo dovere, che non dice mai un NO e tantomeno si permette di dare una sgridata.
Chiunque abbia allevato cani (e non si sia limitato a diventare cinofilo leggendo libri e seguendo stage) sa benissimo che in natura non funziona così.
Se il cucciolo fa troppo il furbetto, le sgridate gli arrivano eccome:  dalla mamma, da papà e anche dagli altri adulti del branco.
In qualche caso (abbastanza raro, perché i cani fanno molta più “scena” che fatti reali) arrivano anche le botte.

Ora, poiché noi siamo esseri intelligenti e civili, con un’etica ben precisa, è corretto che ci sforziamo di fare tutto il possibile per non essere MAI violenti nei confronti del cane: anche perché, tra cani, le botte possono essere reciproche, ma tra cani e umani no.
Noi facciamo di tutto (giustamente!) per inibire la mordacità nel cucciolo ed assicurarci che non morda mai un umano: ma una volta fatto questo, dobbiamo inibirci anche da soli.
Altrimenti il gioco sarebbe scorretto: “io te le suono, tu devi subire e star zitto”.
Eh, no. Troppo facile, troppo comodo.
Quindi, assolutamente al BANDO qualsiasi forma di violenza fisica.

Ma tutto questo, per i motivi esposti prima, non significa affatto “no alla gerarchia”. Tantomeno significa convincersi che le gerarchie, per il cane, non siano poi così  importanti.
Sarebbe folle, perché il cane tende sempre e comunque a scoprire quale sia la sua posizione gerarchica in famiglia: è una sua priorità, a volte gli interessa addirittura più del cibo e del sesso, che sono altri due suoi “chiodi fissi” (e di chi non lo sono?).
Ho letto recentemente su Facebook un post in cui si prendevano in giro i “metodi antidiluviani con cui si diceva al padrone di passare per primo dalle porte, di mangiare prima del cane, di non farlo salire sul letto e così via”.
Eppure questi “metodi antidiluviani” sono una trasposizione “umana” quasi letterale di quanto avviene in un branco canino.
Il capo mangia per primo; il capo non lascia entrare nessuno nella sua tana; il capo esplora per primo qualsiasi nuovo territorio.
Forse i cani non hanno ancora letto gli ultimi libri del “guru” gentilista di turno: bisognerà fornirglieli.
Per il momento, però, continuano a comportarsi così: e la loro società fila a meraviglia, mentre nella nostra sono sempre più frequenti i casi di aggressioni e morsicature, o più semplicemente quelli di famiglie che vogliono liberarsi del proprio cane perché “non ne fanno più i soldi”, insomma non riescono a gestirlo.
Chissà come mai?

A forza di tacciare gli addestratori “non gentili” di essere dei bastardi violenti e picchiatori, insomma, i “guru” del gentilismo hanno creato una generazione di cinofili che non riesce a tenere sotto controllo cani che non siano labrador, golden o – proprio spingendosi all’estremo limite – border collies.
Quasi tutte le razze da utilità e difesa, con millenni di storia alle spalle, stanno sparendo dal panorama cinofilo perché i gentilisti (giocando al massacro nei confronti degli altri addestratori) sono riusciti ad imporre la loro concezione univoca: o il nostro metodo, o morte! Tutte le alternative al nostro metodo sono violente e chi non segue il nostro metodo è un torturatore di cani!
Peccato che il metodo gentile (specie se applicato alla carlona, magari da “educatori cinofili” che si ritengono tali dopo aver seguito uno stage di tre giorni) non vada bene per tutti i cani.
Va sicuramente bene per tutti i CUCCIOLI, ma con molti adulti – specie se appartenenti a razze dal carattere forte, selezionate da millenni per “avere” un carattere forte -  è difficilissimo da applicare. Tanto più quando  il proprietario è un neofita.
Se poi sono già stati commessi errori educativi in precedenza, può diventare addirittura impossibile utilizzare “solo” quel metodo.
Perché, allora, non si pensa ad abbinare il metodo giusto ad ogni soggetto?
Semplice: perché gli educatori  “gentili” (guai a chiamarli “addestratori”, come se fosse un insulto – un po’ come “comunisti” per Berlusconi! -  quando in realtà educazione e addestramento sono due cose diverse, applicabili ad età diverse e ad esigenze diverse) non vogliono e non possono ammettere che il loro metodo possa non funzionare su alcuni soggetti.
Quando non funziona preferiscono dare la colpa al cane, dargli dello squilibrato irreversibile. Arrivano (ho diverse testimonianze in tal senso) a consigliare l’eutanasia. Alla faccia del “gentilismo”.

Cerchiamo, quindi, di fare chiarezza, stabilendo alcuni punti fermi:

a)    Il cane è un animale gerarchico. Su questo non ci piove, checché possa dire qualsiasi educatore o etologo dell’ultima ora;

b) da animale gerarchico, in cane è in cerca di un superiore, di un “capo” a cui affidarsi. Se non lo trova, ne prende il posto;

c)    Essere un “superiore gerarchico” non significa affatto essere violento, né tantomeno avere un atteggiamento alla “io Tarzan, tu Jane”, “io capo indiscusso, tu servo che deve obbedire e tacere”. Chi pensa che gerarchia significhi questo, non ha capito un accidenti né di gerarchie, né di cani;

d)     Far capir al cane che siamo suoi superiori gerarchici significa dimostrargli che siamo affidabili, coerenti (concetto BASILIARE per il cane), capaci di mantenere unito il branco (ovvero la famiglia) affidando ad ognuno un ruolo e delle responsabilità precise, col la massima gentilezza possibile quando si tratta di “insegnare e spiegare”, ma anche con una certa severità verso coloro che fanno i furbi e si sottraggono ai propri ruoli e responsabilità;

e)    Il premio più ambito per il cane NON deve essere il bocconcino, ma l‘approvazione del suo superiore. In natura non vedrete mai un lupo (e neppure un cane) portare un pezzo di carne in premio a un suo collega che ha difeso egregiamente il territorio dall’aggressione di un predatore. Però vedrete, per esempio, un capo che permette ad un sottoposto di giocare con lui. In natura il gioco-premio esiste, il premio-bocconcino no. Questo non significa che non lo si debba/possa usare: significa solo che il cane fa più fatica a considerarlo un vero e proprio “premio” inteso anche in senso “morale”. In altre parole, l’umano che premia sempre e solo a bocconcini finisce per essere considerato un dispensatore automatico di crocchette anziché una figura-guida da rispettare e stimare;

f)    La gerarchia non può sostituire né sopravanzare l’amore e l’affetto. Un cane può essere sottomesso gerarchicamente con la violenza e quindi obbedire “a macchinetta”, ma non amerà il tiranno (e non “capo”) che lo minaccia costantemente, gli urla addosso e/o lo picchia.
Non  confondiamo e non umanizziamo: un cane trattato in questo modo potrà anche leccare le mani al padrone (in segno di sottomissione, non di affetto) e quando il padrone è in vena di giocare con lui lo farà (perché è fondamentalmente buono)… ma non sarà mai questo il cane che, vedendo il suo umano in pericolo, corre a cercare aiuto o sacrifica addirittura la sua vita per salvarlo.
I cani sono buoni,  non cretini. Se un padrone-tiranno finisce in un burrone, un cane tiranneggiato penserà “ben gli sta” e non andrà a chiamare proprio nessuno.

Concludendo: quello che dobbiamo ottenere, per un corretto rapporto con il cane, è che lui ci ami, ci rispetti (non “ci tema”, che è cosa ben diversa) e ci stimi.
Questo si ottiene con un giusto mix tra collaborazione, lavoro, gioco, dimostrazioni di affetto e superiorità gerarchica manifestata in modo sereno, senza “rammollimenti” ma anche senza cedimenti, con coerenza assoluta e affrontando con intelligenza tutte le “verifiche” a cui il cane ci sottoporrà periodicamente.

Indispensabile, infine, saper capire i messaggi che il cane ci invia e soprattutto riuscire a identificare il suo grado di sensibilità e la sua capacità di provare sentimenti: cose che non sono uguali per tutti i cani e neppure per tutti i soggetti all’interno di una stessa razza, anche se una razza manifesterà certe “tendenze” comuni.
Ogni cane, però, è soprattutto un individuo: così come lo è ogni uomo. Conoscersi reciprocamente è l’unico modo per arrivare a capirsi, e capirsi è l’unico modo per impostare un rapporto corretto… che però sarà sempre “unico” e che va studiato ed applicato al singolo binomio.
NON ESISTE un “metodo universale” per l’educazione canina, così come non esiste un metodo universale per far funzionare un matrimonio o un rapporto genitori-figli.
Se non riusciamo a capire almeno questo, sarebbe meglio che evitassimo anche solo di dare consigli cinofili: altro che scrivere libri o tenere stage
Arianna

Offline orsidanna

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Re: Ma esiste o no, questa “gerarchia”?
« Risposta #1 il: 11 Aprile 2011, 22:40:23 »
ciao Ary.. è bello leggerti....

per quanto riguarda l'articolo sono sostanzialmente d'accordo....
credo che l'equilibrio sia SEMPRE il metodo migliore...
e la conoscenza reciproca aiuta a raffinare questo equilibrio....

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Offline Belver

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Re: Ma esiste o no, questa “gerarchia”?
« Risposta #2 il: 11 Aprile 2011, 22:42:17 »
guarda un po'...Valeria Rossi...  ;D

concordo su alcuni punti ma poi il messaggio che passa e' che con i Rott o i Pitbull sia giusto usare collari a strangolo e pugno duro...

 


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