per chi non l'avesse mai letto...
eccolo qua..
PAYER
Ore 03.20
È notte.
Fuori e Dentro.
Sara sta dormendo ed ha una serenità lieve che le rende il viso ancora più dolce.
Seta è sdraiata sui miei piedi.
Ogni tanto sogna e muove leggermente le zampe.
Prima, per qualche istante, ha succhiato come quando era cucciola.
Poi ha sorriso.
Non riuscire a dormire ha i suoi lati positivi: si notano particolari che altrimenti si perderebbero.
I movimenti nel sonno di tua moglie. Il piede che spesso le esce dalle lenzuola.
I piccoli rumori che riempiono il silenzio e che non sai da dove arrivano.
Rimanere svegli di notte ti permette di riordinare i pensieri, di prendere decisioni, di credere più reali i sogni che riesci a ricordare.
Ore 04.00
Mi sto mettendo gli scarponi sotto un paio di pantaloncini non troppo pesanti. Addosso ho, al momento, una maglietta termica a mezze maniche ed un pile nero che spero di togliermi in fretta.
Nello zaino: una giacca impermeabile, calzini e maglia di ricambio, acqua per me e Seta, un copricollo ed un paio di guanti, il pranzo per noi due, qualche biscottino (quelli li ho anche in tasca), sacchettini igienici, primo soccorso, un’agendina per appunti, l’ultimo libro di Jeffrey Deaver.
Al collo la solita macchina fotografica.
Seta si è svegliata e mi guarda fra il curioso e lo scocciato.
Nella sua parte di letto, Sara ha appena accennato un movimento ed un piccolo mugugno… ma si è subito riaddormentata.
Lascio un biglietto sul cuscino: “ Andiamo al Payer. Dormite sereni “
Ore 04.30
Usciamo.
Solda è appena accennata.
Attraversiamo il solito prato salutati dal pastore tedesco che ci abbaia come ogni volta.
Non incrociamo nessuno, nemmeno quell’immensa figura di anziano che cammina lentamente nel paese, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Sempre vestito con la tuta. Sempre con le sue due stampelle. Sempre con il suo ritmo che sembra scandire le ore.
Seta corre dietro ai topolini che, curiosi, si affacciano dalle loro stradine faticosamente costruite. Subito dopo ne approfitta per una rinfrescatina ( ??? ) nel fiume mentre passo dal ponte di legno che mi porta vicino alla seggiovia dell’Orso ancora addormentata.
In un attimo arriviamo alla vecchia e stanca Santa Gertrude che ci indica il sentiero che si inerpica nel bosco.
Ho scelto di salire dal numero 4 per arrivare direttamente al Tabaretta.
È sicuramente più faticoso, ma una volta l’ho abbandonato tornando indietro…. è una questione personale !
Ore 06.00
Ho spento le luci da poco.
Nel bosco la penombra, ancora, ci accompagna nel cammino.
Alcuni rumori attirano Seta che scompare per qualche secondo, ritornando con un bastoncino in bocca particolarmente saporito. Si ferma per sgranocchiarlo con calma ed io ne approfitto per sedermi e bere un po’.
Attorno a noi la vita sta riprendendo colore e la sensazione di meraviglia che mi pervade è come una carezza aspettata da troppo tempo.
Ripartiamo.
Il sentiero certamente non ci perdona niente, specialmente quando ( intorno ai 2300 metri ) il bosco inizia lentamente a finire. Finalmente intravedo l’Ortles ed il suo ghiacciaio che, da qui, sembra stranamente poco esteso. Passiamo da una pietraia che sale fino ad arrivare ai piedi dell’ultimo tratto di sentiero che porta al Rifugio Tabaretta.
Seta, sui sassi, cammina con più calma e mi permette di sentire il vento che porta gli odori della neve mescolati a quelli del sottobosco.
A volte mi domando come ci si possa difendere da sensazioni come questa.
Sono qui, appoggiato al masso che ricorda gli alpinisti caduti, e mi sembra di far parte delle montagne che ho di fronte.
Mi gira la testa ed ho bisogno di trovare un punto fisso da guardare.
Scelgo di girarmi e cercare la valle con gli occhi.
È iniziata la luce quotidiana che illumina Solda e che rende QUEL verde che corre accanto al fiume così unico.
Chissà su che cuscino è appoggiata Sara e chissà se la piccola che cresce in lei sta già sognando.
Ore 08.00
Arrivare al Tabaretta è come salire su un girone dell’inferno. L’ultimo tratto del sentiero si inerpica senza pietà ed il rifugio sembra non esserci realmente. Appare e scompare a seconda del punto in cui sei.
Però.
Però quando sei li ti assale il dubbio di esistere.
Ti guardi intorno e vedi soltanto meraviglie: la cima Vertana, L’Angelo Grande, la Malga dei Vitelli, in lontananza il lago di Resia incastonato nell’infinito, lo Zebrù appena accennato, i Piani di Rosim.
Seta si riposa appoggiata ai miei piedi, come fa sempre, mentre ho la solita necessità di scrollarmi di dosso la commozione.
Ancora non ho avuto il coraggio di guardare in alto, in cima a quel costone di roccia.
So che lui è li, che mi aspetta per farmi sentire, come ogni volta, infinitamente inutile ma enormemente vivo.
Ore 09.00
È ora di ripartire.
Il sentiero, adesso, si sviluppa in costa e bisogna prestare molta attenzione ai sassi che possono cadere smossi da chi ti precede. Fortunatamente a quest’ora siamo soli e possiamo goderci ogni singolo passo che facciamo insieme.
Guardando indietro vedo il Tabaretta farsi sempre più piccolo, mentre il panorama si allarga fino a giungere alla cima innevata del Cevedale. Quando arrivo alla sommità mi devo assolutamente fermare per non cadere preda delle vertigini. Di fronte a me si apre la vallata che porta al passo dello Stelvio. È come un incredibile buco circondato dalle montagne. Si perde assolutamente il senso delle proporzioni. La natura, per fortuna, ha creato una specie di “terrazza” che mi permette di riprendere fiato e di calarmi di nuovo nella realtà.
È il momento.
Mi giro a sinistra e lo guardo.
Non posso veramente spiegare cosa sia il Payer a chi non è mai stato qui.
Sembra quasi che voglia decidere lui chi può salire sull’Ortles e chi no. Pare un silenzioso guardiano di pietra aggrappato alla roccia. Forse è oramai diventato parte integrante di quella stessa roccia.
Arrivarci richiede un certo sacrificio fisico e mentale, un passaggio sopra un piccolo ponte sospeso, una corta ferrata abbastanza esposta ( orizzontale ) che Seta sembra non gradire molto ed un ultimo tratto a gradoni decisamente faticoso.
Durante la salita ci fermiamo spesso per non dimenticare niente.
Ore 11.00
Eccolo.
Siamo arrivati.
Si, lo so, ci abbiamo messo forse troppo tempo.
Ma l’importante è adesso.
Ci sediamo sul terrazzino che si affaccia sulla vallata e mangiamo quello che ci siamo portati dietro.
Poi prendo il cellulare, seleziono il gruppo “ GoldenForum” ed inizio a scrivere un nuovo messaggio:
“ Amici miei, sono nel posto dove vorrei essere di più al mondo. Mi fanno male le gambe e so perfettamente che i prossimi giorni il dolore passerà lentamente.
Il ghiacciaio dell’Ortles è a pochi metri. Il vento muove le nuvole che sbiancano il cielo. In basso Solda aspetta il nostro ritorno.
Seta mi siede accanto e guarda, alternativamente, il panorama e me. Sara si è sicuramente svegliata, ha fatto colazione e magari, in questo momento, sta spiegando a nostra figlia dove è il babbo, appoggiando una mano sulla pancia e fissando il piccolo puntino che è il Payer da laggiù.
Non so se esista una definizione esatta di Felicità.
Ma, se c’è, è molto simile a quello che sto provando in questo attimo appoggiato sulla roccia che ci ha permesso di arrivare fin qui.
Non ci sono molte parole da dire: SONO UN UOMO FORTUNATO. “