Ciao ragazzi, sono tornata !
Prima di tutto, anche se in ritardo, volevo augurare Buone Feste a tutte le stupende persone di questo “forum” che ho già avuto modo di conoscere, anche se solo virtualmente, ed a quelle che ancora non conosco.
Quanto tempo (...troppo) è passato dall'ultima volta che ho scritto.
Ma vi ho seguito tanto... sempre. Quanta compagnia nel leggervi, quanti sorrisi nel vedere le vostre foto, quanta felicità per le storie belle e quante lacrime versate per quelle tristi.
Dopo tanto che continuo a ripromettermi di tornare attivamente a partecipare, eccomi nuovamente qui.
Come avrete capito dal titolo del topic è stato “un anno veramente difficile … o per meglio dire una vita difficile”.
Direi che è’ giunta l’ora anche per me di raccontarvi la mia vita … ma è un po’ lunga e quindi meglio essere sdraiati su un comodo divano con un bel plaid ed una bibita calda da sorseggiare per iniziare a leggere il “mio libro”.
Ok… si comincia da 53 anni fa, si perché la mia storia parte proprio da allora, (ecco Orsi adesso sai anche la mia età così puoi aggiornare la tua statistica dell’età media… eh eh).
Dicevo che proprio dalla nascita parte il tutto e più precisamente dall’età di 4 mesi, quando a seguito di una crescita non idonea per una bimba di quell’età, mi vennero fatti degli esami per capire il perché ?
E quel “perché” a cui qualsiasi genitore dovrebbe sentirsi rispondere che non è nulla di grave, diventa invece un “perché” con un nome ben preciso: Thalassemia.
Thalassemia (da noi nota anche come Anemia Mediterranea) quella sconosciuta…. !!!
Chi ne aveva mai sentito parlare nel 1963, beh… sicuramente non i miei genitore, figuratevi che mia mamma pensava fossi l’unica bimba in Italia ad esserne affetta.
Cos’era ? Come si curava ? Era guaribile ? Quante domande a cui un genitore dovrebbe sentirsi rispondere che si, tranquilli, con una cura tutto si risolve. Invece purtroppo la dura realtà fu ben diversa … era una malattia genetica, non curabile ed all'epoca con una prognosi di sopravvivenza di 10/14 anni.
Ed ecco che il mondo crollò loro addosso. Sò quanto dolore, angoscia, sensi di colpa provarono allora i miei, ma sò anche con quanta fede e coraggio, soprattutto mia mamma, iniziarono ad informarsi e ad affrontarla.
Vennero indirizzati ad un ospedale di Monza dove iniziò così la mia vita di bimba che circa ogni tre settimane si doveva sottoporre a delle trasfusioni di sangue per poter vivere.
Anno dopo anno cresco, circondata dall’amore di due genitori meravigliosi che non si sono mai vergognati di avere una bambina con una grave malattia, e di questo sono stata davvero fortunata perché, credetemi, sicuramente per l’inadeguata informazione di quei tempi, il mancato supporto psicologico (non esistevano certo tutte le Associazione di sostegno di oggi), per l’ignoranza e la paura che potesse essere una malattia trasmissibile, purtroppo molti genitori con figli malati a quei tempi se ne vergognavano.
La mia infanzia trascorre benino facendo, nei limite delle mie possibilità, tutto quello che una bambina di quell'età avrebbe dovuto fare.
Passano gli anni e grazie ad enormi studi e progressi fatti in campo medico, nel frattempo l’aspettativa di vita si allunga.
Ed eccomi arrivare con grande sorpresa alla fase dell’adolescenza dove il mondo però crollò allora addosso a me. Sicuramente età critica e difficile già di per sé, in quegli anni comincio a realizzare la realtà dei fatti.
Mille domande, mille dubbi, mille angosce. Le prime esperienze in cui sono io, e non più giustamente mia mamma , a dover spiegare i miei problemi agli amici, ai professori a dovermi raffrontare con i medici.
Anni duri in cui sicuramente ti senti diversa … ti fanno sentire diversa … perché c’è chi ti compatisce, ed è l’ultima cosa di cui si ha bisogno, e c’è invece chi non vuole avere niente a che fare con una persona malata che può creare solo problemi.
Non finirò mai invece di ringraziare i miei genitori per non avermi in alcun modo fatto sentire diversa, non avermi iperprotetto e tenuta sotto una campana di vetro.
Arrivò quindi la fatica domanda “perché è capitato proprio a me ? Come farò ad affrontare tale fardello ?
E poi ti rendi conto di aver due possibilità: decidere se accettare il più serenamente possibile la tua malattia, combatterla e conviverci al meglio o lasciarti cadere in un baratro di solitudine, esaurimento e rassegnazione da cui difficilmente poi ne uscirai.
Con tanta fatica, qualche vero amico che grazie a Dio esiste e l’aiuto di altre persone con il tuo stesso problema, capisci che il dono che ti è stato fatto della vita è prezioso,che ne te ne è concessa una sola e che vale la pena di essere vissuta al meglio in ogni caso.
Passano gli anni, la medicina fa ulteriori passi da gigante e grazie a nuove cure, oltre alle trasfusioni di sangue, mi ritrovo prima a 20, poi a 30 e ancora a 40 anni.
La vita scorre quasi “normale” con le gioie, i dolori e gli amori di una qualsiasi persona per lo meno fino a 31 anni quando il mondo mi crollò ancora una volta addosso.
Con la perdita di mia mamma di soli 57 anni arriva quello che è sicuramente il dolore più grande della mia vita, ancor più della malattia.
Il mio punto fermo, il mio riferimento, la mia più grande forza … non c’era più (ecco anche a distanza ormai di 22 anni, la lacrima … sta scendendo).
Mi sono ritrovata a dover affrontare di colpo tutto da sola.
Anche se si c’era e c’è ancora mio papà, con lui però non sarebbe stata la stessa cosa.
E’ il mio adorato papà ma anche una persona che non ha mai avuto un carattere forte che sa prendere in mano le situazione, una persona che sa esternare a fondo i propri sentimenti ed è quindi piuttosto chiuso e difficile.
Ma va .. la vita va avanti.
Il tempo trascorre ancora ed eccomi arrivare (e qui credo davvero con l’aiuto da lassù del mio Angioletto Custode) a 50 anni dove cominciano però anche i primi seri problemi correlati alla malattia.
Uno di questi, anzi il principale, per noi pazienti thalassemici è il danno riportato dai vari organi a causa dell’accumulo di ferro dovuto alle trasfusioni.
Esistono fortunatamente cure per la chelazione di questo eccesso di ferro ma, per chi come me non ha avuto la fortuna di poterle iniziare fin da bambina perché scoperte quando io avevo già circa una ventina d’anni, l’accumulo di tale ferro nel tempo ha creato i suoi danni.
Comincio purtroppo circa tre anni fa a soffrire di “flutter atriale” ovvero di un battito del cuore con un ritmo non normale.
La prima volta che mi è successo dopo aver tentato di riportarlo alla normalità con dei medicinali ho dovuto ricorrere alla cardioversione elettrica che (no, nooo … non pensate alle scene viste nei film) avviene sotto anestesia, ed al risveglio della quale il cuore torna a battere ad un ritmo normale.
Purtroppo però a distanza di 10/15 gg. la cosa si ripresentò e i medici mi dissero che certo si poteva rifare la cardioversione elettrica ma quanto sarebbe durato questa volta l’effetto visto il ripetersi dell’episodio nel giro di pochissimo tempo ?
Ecco quindi che la soluzione prospettatami era effettuare un’ablazione cardiaca per andare a “bruciare” il punto esatto da dove questi impulsi elettrici partono in maniera errata.
Senza troppo pensarci, soprattutto avendo trovato un cardiologo che mi dava assoluta fiducia, decido di fare l’intervento sperando di risolvere il tutto.
Ma il mio cuoricino non è proprio pienamente collaborativo e la procedura di ablazione, anche con diverse “bruciature” in più punti, non riesce ad eliminare questo flutter.
Inutile dirvi la delusione e lo sconforto provato.
Ma con il solito ottimismo, l’aiuto del cardiologo (eh eh… almeno gran bello, per lo meno per me che adoro Cracco e lui sembra il suo gemello, anzi forse anche più figo) che mi spiega che questo tipo di “flutter atriale” non è pericoloso e che dovrò imparare a conviverci tenendolo a bada con delle pastiglie, inizio questa nuova avventura.
Passa qualche mese in cui cerco di convincermi di questa nuova realtà ma piano piano questa volta il mio solito ottimismo comincia a svanire.
Non sto a raccontarvi nel frattempo gli innumerevoli andirivieni al pronto soccorso perché anche se, vero, ti è stato detto e ridetto che non è un’aritmia così pericolosa, quando ti senti però battere il cuore in petto in maniera strana a 140 pulsazioni anche a letto e mancarti il fiato beh… la paura ti assale.
Fatto sta che comincia veramente un periodo nero, sia per il fatto che non riusciamo a trovare un dosaggio proprio adeguato, si quando sono a riposo il battito è basso ma appena faccio qualcosa di relativamente “faticoso” il battito torna alto, quindi manca il fiato che sicuramente viene peggiorato anche dallo stato d’ansia che subentra , sia per il fatto che questa cosa stavolta non riesco proprio a digerirla.
Con grande stupore del cardiologo e mio, a distanza di 6 mesi dall’intervento e del tutto inaspettatamente il cuore torna a battere ad ritmo normale e con grande felicità mi godo quelli che sarebbero stati tre mesi prima di ritornare nuovamente fuori ritmo.
Riassumendo il primo anno passa tra un alternarsi di mesi in ritmo normale e mesi in “flutter”, quindi periodi di serenità e di ansia, tutto questo fino ad agosto dell’anno scorso quando esco nuovamente dal ritmo e ci rimango fino a fine luglio di quest’anno, praticamente un anno intero.
Anno in cui torniamo a cercare di trovare il dosaggio dei medicinali più idoneo ma che in fin dei conti non si trova e dove cominciano a prospettarmi la soluzione finale, cioè il pacemaker.
Nooo e poi nooo ... questo non riesco assolutamente ad accettarlo.
Ed allora penso bene che la soluzione sia di iniziare a starmene più tranquilla in modo che non mi si alzi più di tanto il battito.
In pratica comincio invece a non “vivere più “ perché per la paura appunto di sentirmi il cuore sfarfallare in petto, il sentirmi mancare il fiato inizio a fare sempre di meno, ad uscire poco e come ovvia conseguenza arriva la depressione.
Vedo tutto nero, allontano da me gli amici perché tanto penso che non mi capiscano, ed anche il rapporto con il mio compagno non è del tutto idilliaco.
Come finale ecco arrivare la ciliegina sulla torta con la perdita a metà luglio di quella che era per me la mia amica, confidente ma soprattutto “seconda mamma”.
Buio totale !!!
Stavano per arrivare le vacanze di cui non mi importava molto ed ancora una volta inaspettatamente dopo ben un anno intero torno in ritmo normale e, si felice, ma assolutamente disillusa che possa dura a lungo cerco di godermi le vacanze anche se di fatto non vedevo l’ora di tornare a casa.
Puntuale ad inizio ottobre ecco tornare il “flutter” tanto lo sapevo …
Eccoci tornare nuovamente a rialzare il dosaggio delle pastiglie (che ovviamente invece riduco notevolmente quando sono in ritmo) ed ecco tornare più che mai l’angoscia.
A metà novembre arrivo a toccare veramente il fondo quando dopo una settimana di battito costantemente troppo alto anche a letto e malgrado nuovamente stia facendo ben poco, il cardiologo mi dice di andare in pronto soccorso perché bisogna abbassarlo con delle flebo.
Basta…. no questa non è più vita ne per me ne per chi mi sta accanto e in quel momento avrei preferito davvero morire piuttosto che andare avanti così a “non vivere”.
Non so dire cosa sia scattato nel mio cervello quel giorno ma di fatto dopo una lunga chiacchierata/pianto con il mio amore e le rassicurazioni del mio cardiologo sul fatto che davvero mi avrebbe cambiato la vita mi convinco che effettivamente è giunta l’ora di mettere il pacemaker.
Ok… la decisione è presa ed eccomi qui ad aspettare l’intervento che un po’ per l’avvicinarsi del periodo di Natale un po’ perché obiettivamente non urgentissimo (dopo tre anni posso anche aspettare un altro mese o due) abbiamo deciso di rimandare a dopo il periodo di feste.
Non nascondo che la paura è tanta ma l’aver preso la decisione, il riuscire a parlarne anche qui (mamma mia …. lo so sono stata davvero prolissa) mi fa cominciare a vedere forse l’uscita da questo lungo e buio tunnel.
Ho bisogno anche di voi ragazzi e di mio prometto di tornare a sorridere come prima.
L’unica cosa positiva in tutto questo brutto periodo è stata ed è Zaya la mia bimba, il mio grande amore.
Ed anche se a volte mi è costato davvero tanta fatica portarla in giro, sono contenta però mi abbia costretta a farlo. Soprattutto quanta compagnia mi ha tenuto, quanto mi ha fatto sorridere anche quando non ne avevo voglia e quante lacrime mi ha leccato quando scendevano.
Senza dimenticare poi naturalmente durante i weekend dal mio compagno il suo super fratellino Athos. Ma di questi due adorabili buffoni vi scriverò in un altro topic nei prossimi giorni.
Vorrei chiedere scusa soprattutto a Tiziana, Davide e Romina per non avervi più fatto sapere nulla dei vostri nipotini, ma credetemi siete sempre nei miei pensieri e veramente sia io che Giovanni non vediamo l’ora di venirvi a trovare.
Ps: Spero Tiziana che anche tu sia in fase di completa ripresa dal tuo intervento.
Ragazzi che dire se non grazie di cuore di avermi ascoltata e augurarvi ancora Buone Feste.