Autore Topic: Pet Therapy? Si, No, Forse...  (Letto 1937 volte)

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Offline Belver

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Pet Therapy? Si, No, Forse...
« il: 19 Luglio 2010, 12:04:33 »
Nella speranza di poter riflettere insieme e non di accendere un'ulteriore sommossa nel forum posto questo articolo con cui mi trovo al 100% in linea. :)

Citazione
VETCLICK / I benefici per l'uomo e i rischi a cui vanno incontro i quattro zampe
Ma la pet therapy fa bene agli animali?
Sì a quella professionale, dubbi su quella casereccia. Che fine fanno cani&co. che non servono più allo scopo?

Con questo articolo della dott.ssa Laura Torriani inauguriamo «VetClick», una nuova rubrica curata da veterinari, che offrirà di volta in volta un punto di vista «in camice bianco» su varie tematiche legate al mondo degli animali, al modo migliore per prendersene cura, al rapporto che si instaura con loro.

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Pet therapy nel reparto di pediatria in un ospedale di Como (Newpress)
La pet therapy è ormai diventata un’attività ben codificata, anche da leggi apposite, che comporta l’impiego di animali da compagnia come ausilio terapeutico in alcune situazioni patologiche umane, sia fisiche che psichiche. I dati più divulgati e noti al pubblico sono gli effetti sulla pressione: la carezza al micio tenderebbe a farla abbassare, mentre osservare i pesciolini variopinti dell’acquario rilassa la mente ed evoca pensieri bucolici; la passeggiata quotidiana con il cane migliora l’umore e allontana i rischi cardiovascolari oltre a far consumare qualche caloria in più; l’equitazione migliora il controllo muscolo-scheletrico di coloro che hanno problemi di coordinazione; i delfini si sono rivelati in grado di superare parzialmente la barriera dell’autismo. Anche altri effetti sono sfruttati e pubblicizzati, tra cui alcuni decisamente frivoli come il socializzare meglio con sconosciuti al parco perché si è possessori entrambi del cagnolone di turno, vedi la vecchia e gettonata storia della carica dei 101.

Praticamente su ogni rivista si recupera qualche informazione e suggerimento per «trattare» qualche malanno più o meno grave con la presenza o il contatto con un animale. C’è però un problema non indifferente e poco compreso che riguarda la tutela dell’animale «oggetto» terapeutico. Esistono due categorie relative a questo utilizzo del pet: la prima comprende gli animali «professionisti» cioè quelli addestrati specificatamente anche per anni e utilizzati di solito da associazioni di persone competenti e gestiti nel modo più corretto sia dal punto di vista sanitario che psicologico, come per esempio i cani destinati ai bambini con gravi lesioni cerebrali o i cavalli adatti alla rieducazione motoria. Non è probabile che un animale appartenente a questa categoria, possa finire in mezzo a una strada o a marcire in un canile anche perché sono animali molto costosi e frutto di scelte e selezione accurata.

Il secondo gruppo, più sfortunato e meno tutelato, comprende la moltitudine di animali della pet therapy «casareccia», cioè tutti quelli che vengono comprati o recuperati, senza specifico interesse, con la speranza di migliorare condizioni che spesso nulla hanno a che vedere con la presenza d animali, e può capitare, e capita, che il loro destino non sia dei più felici. Dice William Heberden: «New medicines and new methods of cure always work miracles, for a while», che significa che le nuove medicine e i nuovi metodi terapeutici fanno sempre miracoli, per un breve periodo. Molti di coloro che acquisiscono animali anche per altri motivi per fortuna se ne «innamorano», spesso dicendo che non immaginavano che fosse così avere un amico peloso e se ne infischiano poi del fatto che il motivo «medico» risulti non sfruttabile.

Ma cosa accade in alcuni casi se l’aspettativa di una vita più vantaggiosa e frizzante o un miglioramento della salute NON conseguono all’acquisizione del pet soprattutto se il motivo non è stato dall’inizio il reale desiderio di dividere la propria vita con l’animale domestico? Mentre i vari attrezzi ginnici acquistati all’asta televisiva nella speranza di diventare Brad Pitt si possono piegare e riporre sotto il letto o le scatole vuote dei farmaci si possono buttare nel pattume l’ingombrante animale va tenuto per tutta la sua vita, che quando va bene sarà di livello minimo di sopravvivenza, con cibi scadenti, poche passeggiate, e forse, alla prima occasione, il trasloco forzato. Quando va male, finito l’effetto euforizzante iniziale, il destino e quello praticamente certo dell’abbandono, con metodi più o meno carini a seconda del livello morale del proprietario.

Siamo così certi che gli animali che languono nei vari rifugi siano tutti stati abbandonati dal vacanziero folle? Nel caso dell’utilizzo di animali come «agenti terapeutici» sarebbe forse più appropriato specificare la controindicazione, che non si evidenzia praticamente mai negli articoli o servizi televisivi che trattano questo argomento e cioè che l’uso del “prodotto” (in questo caso il povero animale) è indicato solo ed esclusivamente a color che indipendentemente dalla necessità del farmaco abbiano comunque desiderio di rapportarsi con un animale domestico per motivi ben diversi e siano disposti ad accollarsene la responsabilità per tutti gli anni che durerà la sua vita.

Laura Torriani
Medico veterinario libero professionista - Associazione Avemus

Offline dany.71

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Re: Pet Therapy? Si, No, Forse...
« Risposta #1 il: 20 Luglio 2010, 12:02:42 »
devo essere particolarmente rinco oggi perkè ho letto due volte l'argomento perkè non capivo la domanda.
 em_027 e non sono sicura di averla ancora compresa.. em_049
il problema è l'abbandono dei cani ke non "svolgono" il compito per cui sono stati adottati.
ma sinceramente ki di voi ha preso un golden per fare pet terapy?? :-\
ki l'ha preso in previsione di farlo diventare campione di qlk genere??  :-\
prendere un cane è più ke sposarsi, la fedeltà verso di lui deve essere assoluta, non sono ammessi divorzi. em_015
L'uomo comune ragiona, il saggio tace, lo stupido discute.

 


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